lunedì 2 aprile 2012

A memoria di rosa non si è mai visto morire un giardiniere [1]


C'erano una volta delle mucche di mare che pascolavano tranquillamente nelle fredde acque del Mare Glaciale Artico.
Inizia così il testo critico di Annick Bureaud, curatrice della mostra Tales Of A Sea Cow, personale di Etienne de France, ed è questo registro affabulatorio che viene adottato nel meta-racconto interpretato dalla voce guida di Gisella Bein, come nei libri tattili realizzati da Stefano Lattanzio. Si tratta di svariati dispositivi accessibili che faciliteranno la visita e il coinvolgimento anche a coloro che non possono leggere le carte geografiche dettagliate e le puntuali descrizioni naturalistiche che compongono l’esposizione temporanea visibile al PAV.

Bureaud seguita a immaginare, e immedesimandosi, lo fa in prima persona:

È successo nei tempi antichi, queste creature chiamate uomini ci hanno cacciato quasi fino a sterminarci; i nostri antenati sono sopravvissuti solo in Groenlandia, nelle fredde acque dell'Atlantico Artico. Abbiamo imparato a captare la loro lingua attraverso gli strani oggetti che loro utilizzano per comunicare.

A parlare è un coro di mucche di mare, o Ritine di Steller, animali misteriosi e pacifici che vivevano in branchi di maschi, femmine e piccoli. E, secondo i resoconti del naturalista che li ha scoperti nell’ambiente estremo, non mostravano paura alla vista di uomini e imbarcazioni. Semplicemente, erano soliti trascorrere il tempo mangiando alghe, e dopo essersi cibati, riposavano dormendo supini, testa e pancia affioranti in superficie. Questo è quanto il “giardiniere” Georg Wilhelm Steller, supervisore di flora e fauna, ha riportato nelle sue memorie. Steller, che è morto in Siberia tentando il ritorno dalla spedizione russa voluta dallo zar Pietro il Grande e finita in naufragio, non è sopravvissuto alla pur breve vita della specie descritta nel suo De Bestiis Marinis.
Lo sterminio lampo delle mucche di mare è emblematico di un rapporto intraspecie squilibrato e strumentale che al desiderio di conoscenza, se non anche di convivenza, preferisce l’incorporamento (in questo caso, attraverso la macellazione a scopo alimentare, letterale) dell’Altro da sé.

Come oggi de France utilizza la forma del racconto pseudo documentario, adatta all’esposizione di fatti circostanziati che si immagina realmente accaduti, allo stesso modo l’“io narrante” letterario del viaggiatore settecentesco ci ha guidati attraverso le meraviglie o le crudeltà incontrate in prima persona da personaggi non veri, ma verosimili. Per ragionare concretamente su questi presupposti teorici abbiamo individuato una guida letteraria, di esempio per chi esplora specie, linguaggi, ambienti, società, epoche: il signor Lemuel Gulliver di Jonathan Swift.
Gulliver’s Travel è il titolo dell’azione di laboratorio con il pubblico che accompagna l’approfondimento della mostra di de France. Come Gulliver immaginiamo (ma è tutto vero, come insistiamo a dire) arcipelaghi popolati di individui, animali e piante a misura di Lilliput o di Brobdingnag, cercando le relazioni plausibili che dipendono dalle differenti dimensioni, dai rapporti di forza degli incontri, spesso casuali. L’obiettivo è quello di deviare la consueta visione antropocentrica, mettendoci in relazione con quante più possibili alterità, ribaltando e rendendo elastico il punto di osservazione.

Il pubblico del PAV è invitato a questi esercizi di rovesciamento della prospettiva attraverso due workshop con gli artisti Norma Jeane e Piero Gilardi, durante i quali si lavorerà sul desiderio di relazionarci con ciò che è altro da noi, l’istinto a incorporare quanto vogliamo far nostro, fino allo sperpero di risorse dettato dal modello consumistico. In Methodology of squandering
 (Metodologia dello sperpero) Norma Jeane, in collaborazione con lo chef Luca Fogato, tratta i delicati rapporti concettuali che abbiamo con il cibo, il suo consumo, il valore simbolico e l’impatto emotivo dell’uso non utilitaristico di questa materia complessa, che differenzia in modo sostanziale la nostra specie dal resto del regno animale.
Il workshop Noi come animali, condotto da
 Piero Gilardi, torna fortemente a confrontarsi con l’alterità, mettendo in luce la “questione animale” sempre più evidente. Immense le sofferenze inflitte quotidianamente agli animali, “figli di un dio minore”, e per le ragioni più svariate e strumentali: schiavitù degli allevamenti intensivi, sperimentazioni “scientifiche”, riduzione in cibo.

Il mondo animale (la teriosfera) solo attraverso il rispetto biologico e affettivo può riacquistare il suo valore, in quanto attore di una partnership coevolutiva e desideroso, come chiunque, di trovare un equilibrio di convivenza. “Perché tutto è concatenato nella natura, e chi suppone un nuovo fenomeno o ricostruisce un istante passato, ricrea un nuovo mondo”.[2]






Orietta Brombin



[1] Bernard le Bovier de Fontenelle (1657 – 1757), citato in Denis Diderot, Il sogno di d’Alembert, Sellerio, Palermo, 1994, p. 43
[2] Denis Diderot, op. cit., p. 16

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