giovedì 3 novembre 2011

Altre parole


Queste parole dovevano essere altre. A proposito di cerchi che si chiudevano, paradossi che si schiudevano, modelli nuovi e vecchi, spinte e controspinte, fughe in avanti e indietro, scoperte e ritirate. Tanta carne al fuoco, due soli personaggi, l’uomo e la natura.

Un rapporto difficile, come tra madre e figlio, e in effetti lo è. Come ogni figliol prodigo, queste parole dovevano parlare di come l’uomo si sia dato tanto da fare cercando la propria libertà lontano da casa, “Il futuro è nella plastica!” lo slogan di un’intera epoca sintetizzato in una celebre scena de Il Laureato. Per poi, con la stessa energia, accorgersi che proprio quella libertà non era possibile se non a braccetto con la stessa natura, tanto a lungo vista come freno se non giogo: e il cerchio era chiuso. Il 18 ottobre 2011 però, poco dopo aver festeggiato i novant’anni, si è spento Andrea Zanzotto. È successo a Conegliano, nel suo Veneto, provincia trevigiana profonda, dove era nato il 10 di ottobre del 1921. Provincia di paesaggi, vissuti in comunione con il mondo, all’aria aperta di una terra intima e rivisti allo specchio dei quadri del padre pittore. Paesaggi spesso di natura ferita, come l’Italia attorno, deturpata dal Fascismo prima, da altri miti e chimere poi: illusioni, dopo le bombe della guerra e i boom del miracolo economico. Che il futuro fosse nella plastica o in qualcos’altro poco importa, di certo l’uomo non sembrava più appartenere alla terra.
“Dal paesaggio” – ripeteva il poeta – “ricevevo una forza di bellezza e tranquillità. Ecco perché la sua distruzione è stata per me un lutto terribile”. Ma ogni lutto può generare un seme: è la lezione delle piante, troppo quotidiana per tenerla a mente, come i poeti che si leggevano a scuola. Ma il seme di qualche pianta, talvolta, diventa diventa diventa:


MAROTEI, DE MATINA BONORA

Grune de fen
che i par bar
color de fer
qua e là
pa’ i pra
rasadi de rossada

stech e fii
de erbete
ingattiade strigade
deventade storte
deventade morte
deventade sgonfie
deventade stonfe
deventade deventade deventade



MUCCHIETTI DI FIENO, LA MATTINA PRESTO

Mucchi di fieno
che sembrano cespugli
colore del ferro
qua e là
per i prati
rasi di rugiada

stecchi e fili
di erbette
arruffate stregate
diventate storte
diventate morte
diventate gonfie
diventate zuppe
diventate diventate diventate

Semi, possibilità, che risuonano e si rigenerano in una voce d’oltreoceano, Gary Snyder, poeta beat premio Pulitzer nel 1975 ed esploratore di terre di confine, tra Oriente e Occidente, forma e sostanza, un percorso personale che è un diario di viaggio verso l’emancipazione dell’uomo dalle poetiche superate e i modelli di vita e consumo ancora da superare.


PINE TREE TOPS *

In the blue night
Frost haze, the sky glows
With the moon
Pine tree tops
Bend snow-blue, fade
Into sky, frost, starlight.
The creak of boots.
Rabbit tracks, deer tracks,
what do we know.


LE CIME DEI PINI

Nella notte blu
Nebbia gelata, il cielo rifulge
Della luce lunare
Le cime dei pini
Si tingono di un blu neve, scolorano
Nel cielo, nel gelo, nelle stelle.
Calpestio di stivali.
Impronte di coniglio, impronte di cervo,
cosa possiamo saperne.

BY FRAZIER CREEK FALLS *

Standing up on lifted, folded rock
Looking out and down–

The creek falls to a far valley.
Hills beyond that
Facing, half-forested, dry
–clear sky
strong wind in the
stiff glittering needle clusters
of the pine-their brown
round trunk bodies
straight, still;
rustling trembling limbs and twigs

listen.

This living flowing land
Is all there is, forever

We are it
It sings through us–

We could live on this Earth
Without clothes or tools!


ALLE CASCATE DI FRAZIER CREEK

In piedi, su una roccia alta, corrugata
Guardo dall’alto –

Il torrente cade in una valle lontana.
Le colline oltre
Di fronte, in parte coperte dal bosco, aride,
– cielo limpido
vento forte tra i
ciuffi degli aghi
di pino, duri e splendenti – i tronchi,
corpi rotondi, marroni,
dritti e immobili;
fruscio vibrante di rami e ramoscelli

ascolta.

Questa terra fluente, viva
È tutto ciò che esiste, per sempre

Noi siamo lei
Lei canta attraverso noi –

Potremmo vivere su questa Terra
Senza vestiti e senza attrezzi!

Ma la forma è sostanza, difficili da separare come le radici dal fusto, si dice da tempo: lo stesso tempo che ha protetto le parole dei due poeti, come terra fertile, dove l’uomo non è mai stato solo né padrone di casa. E per dirlo c’era bisogno di altre parole.


* Gary Snyder, L’isola della tartaruga, tr. it. C.D’Ottavi, Nuovi Equilibri, Viterbo 2001.




Marco Magnone 

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