giovedì 3 novembre 2011

L’approccio bioetico del Critical Art Ensemble

Attorno al crinale dell’anno 2000 emerge la grande questione della biogenetica e delle biotecnologie.
La clonazione della pecora Dolly e la mappatura del Genoma umano colpiscono l’immaginario sociale evocando il fantasma di Frankestein e nel contempo la speranza di cura delle malattie genetiche.
Un esteso e contraddittorio dibattito si apre attorno al biotech e alle sue applicazioni  sociali; anche tra gli scienziati le posizioni si dividono tra chi enfatizza la possibilità di progresso e chi enfatizza i rischi e le derive. I cittadini appaiono disorientati ed hanno difficoltà a capire i principi, le tecniche e le implicazioni data la complessità dell’argomento, ma indubbiamente entra in gioco nella psicologia di massa il pregiudizio novecentesco nei confronti della scienza alimentato dai suoi esiti negativi come l’invenzione della bomba atomica.
Ogni tecnica ed ogni tecnologia presenta sempre due volti, prefigura dei vantaggi per l’umanità e nello stesso tempo dispiega dei rischi.
Oggi uno dei compiti più ardui, data la complessità e la portata delle odierne biotecnologie – dalla biologia molecolare all’ingegneria genetica – consiste nel cercare un equilibrio consapevole tra gli effetti negativi e quelli positivi e di definire dei parametri fondati per discernerli e discriminarli.
Se all’ “evoluzione naturale”, con i suoi dispositivi selettivi, si sostituisce una sorta di “evoluzione artificiale” con altri meccanismi selettivi che valorizzano l’esistenza egoica dell’individuo ne possono conseguire delle gravi conseguenze.
Dunque soltanto la dimensione culturale, una evoluzione culturale consapevole, può consentire di superare questa impasse e correggere le dinamiche negative che le biotecnologie ingenerano.
In una inchiesta a campione svolta nel 2002 da parte del Collettivo Bio Arti di Torino emergeva da una parte la fiducia delle persone intervistate nelle possibilità innovative di cura e riabilitazione delle biotecnologie in campo medico, ma nel contempo una forte diffidenza nei confronti della monopolizzazione privatistica – i brevetti sulla vita – della ricerca e della produzione biotech applicata all’agricoltura e alla farmacotecnologia.
L’arte e gli artisti, in particolare quelli con radici culturali nell’arte neotecnologica degli anni ’90, si sono ben presto impegnati su questo problematico terreno scientifico ed etico.
Di questo fenomeno ha dato conto il Festival Ars Electronica nel 1999, dedicato a “The next sex”, e nel 2000 a “Life Science”.
Le pratiche espressive degli artisti della Biotech Art avevano come obiettivo prioritario quella di “mettere in scena” la problematica scientifica della biogenetica, di farla percepire, anche in modo provocatorio, e di aiutare a comprenderne i termini, le implicazioni e le conseguenze per la vita di tutti e per il futuro della società.


L’ATTIVISMO DEL CAE

Tutta un’area dell’Arte Biotech sviluppa una pratica relazionale di performance, laboratori partecipativi, teatro militante ed installazioni volti a informare il pubblico sui gravi rischi di un utilizzo delle biotecnologie a fini di profitto, da parte delle multinazionali come Monsanto o Lever Gibbs.
Questo attivismo politico si collega sul piano artistico alle esperienze del Movimento Situazionista e dei gruppi – come “Guerrilla Girls” – che a partire dagli anni ’70 hanno sviluppato forme di arte
politica militante, su temi etici e anticapitalistici.
Il CAE è indubbiamente uno dei gruppi artistici più impegnati a divulgare la problematica sociale del biotech nei suoi vari aspetti: dall’eugenismo, alle tecnologie della riproduzione umana, dagli OGM nascosti nei cibi ai medicinali “postgenomici”.
Il leader storico del gruppo è Steve Kurtz che ha pagato di persona il suo impegno politico con un arresto per “bioterrorismo”.
L’attività del CAE, appassionata e coinvolgente, si fonda su posizioni teoriche e critiche chiare ed articolate, riassunte nel loro libro “L’invasione molecolare” (tradotto anche in italiano e scaricabile
gratuitamente dal sito web del collettivo).
In questo testo vengono denunciate tutte le distorsioni delle biotecnologie usate per fini ommerciali e le mistificazioni retoriche impiegate per giustificarle sul piano giuridico e dell’opinione pubblica.
Il pensiero del CAE assume l’hybris come aspetto fondamentale della natura e del suo processo evolutivo e indica la categoria di “Transgeneia” come uno dei grandi ordini del vivente riconosciuti dalla Scienza odierna. La natura è considerata di per sé transgenica poiché tutti gli organismi, sotto la pressione selettiva dell’ambiente, si sono non solo adattati ma anche ibridati, dalla notte dei tempi. Oggi l’essere umano ha sviluppato delle conoscenze e delle tecnologie che permettono di modificare il genotipo degli esseri viventi – uomo compreso – ma questo fatto implica una nuova grande responsabilità.
Le multinazionali biotech non assumono il necessario “principio di precauzione” e continuano a lanciare sul mercato organismi geneticamente modificati – brevettati – le cui conseguenze
sull’ambiente e sulle catene alimentari biologiche sono disastrose.
La pratica performativa e partecipativa del CAE da una parte demistifica il mito metafisico della “purezza naturale” e dall’altra aiuta i soggetti sociali a prendere coscienza dell’uso distorto delle
biotecnologie industriali che inquinano sempre di più il nostro ambiente sociale, la nostra vita e quella delle generazioni future.



Piero Gilardi
Direttore Artistico PAV

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