lunedì 2 aprile 2012

L’idea dell’ucronia

C’è un che di nostalgico nella poetica di Etienne de France (Parigi, 1984; vive a Reykjavik).
Il suo lavoro non ha a che fare solo con la scrittura e il documentario storico-scientifico – nel caso specifico della mostra Tales Of a Sea Cow al PAV attraverso la sceneggiatura del film omonimo – ma riguarda anche un modo di trattare la materia narrativa, piegando e dispiegando lo spazio-tempo.
Lo scenario in cui il racconto prende forma - o i racconti, per seguire il titolo scelto da de France – coincide con i paesaggi della Groenlandia e dell’Islanda. Sullo sfondo di queste fredde acque si alternano ricordi di pescatori del luogo, desideri e aspirazioni di due giovani biologi alla ricerca dei canti di animali considerati estinti, e la voce narrante che guida lo spettatore in una sorta di scatola cinese percettivamente spiazzante, dove ad uno sguardo ne corrisponde un secondo nascosto, un terzo e così via…
A prima vista siamo fuori dalla metafora, poiché tutto sembra accadere davanti ai nostri occhi e in luoghi geograficamente reali, ma al tempo stesso si è anche paradossalmente dentro a tutte le metafore credibili. A metà strada tra realtà e fiction, dove i confini dell’una si confondono nell’altra – con la difficoltà che ne consegue nel comprendere in quale delle due dimensioni siamo condotti dall’occhio dell’artista-regista – Tales Of a Sea Cow analizza la storia, o fantastoria, della mucca di mare di Steller. Si tratta di un grande mammifero marino della famiglia dei Dugongidi (Hydrodamalis gigas), che viveva nelle acque dell'Artico vicino all'Isola di Bering e la cui scoperta risale al 1741 grazie all’avvistamento del naturalista Georg Wilhelm Steller, di cui infatti la ritina porta il nome. In meno di 30 anni questi innocui mammiferi, simili a sirenidi ma diversi da foche e trichechi, furono massacrati per la carne e l’utilizzo del grasso, fino all’uccisione dell’ultimo esemplare nel 1768.
Ispirandosi agli esperimenti di decodifica dei canti delle megattere, Etienne de France immagina di poter applicare un tale sistema anche alle mucche di mare di Steller. Sviluppando le ricerche, traducendo in primis i vocalizzi in rappresentazioni grafiche attraverso un dispositivo interattivo e un’installazione sonora, e azzardando in seguito l’ipotesi che la trascrizione dei suoni animali sia in realtà un immenso database di informazioni sul comportamento dell’uomo, l’artista apre un imprevisto orizzonte di riflessione e possibilità.
Si dice che la storia non si faccia con i “se”, ma è quasi scontato chiedersi perché la storia di una popolazione animale, e non solo umana, sia andata in un certo modo e non in un altro. La frequenza e il peso di quei “se” possono infatti determinare il carattere e il destino di una popolazione come quello di un singolo individuo. E anche la storia che non c’è stata, ossia la storia probabile oggi comunemente definita “storia controfattuale”[1], assume un valore indicativo. Per definire questo atteggiamento e questa storia “altra”, il filosofo francese Charles Renouvier alla metà dell’Ottocento coniò il termine uchronie.[2]
L’U-cronia, che letteralmente significa senza tempo così come U-topia vuol dire senza luogo, sviluppa le potenzialità, implicite ma non evidenti a una prima lettura, nel racconto della Storia. Introducendo una situazione non reale ma certamente immaginabile, vale a dire una storia alternativa o allostoria, il lavoro di de France – che al PAV include a corollario del film anche idrofoni, plastici, reperti fossili ricostruiti e cartografie a testimonianza della ricerca scientifica – ci fornisce un esempio di narrazione poetica sull’antropomorfismo, cioè su come l’uomo comprende, interpreta, trasforma e modifica secondo i propri bisogni la natura. Allora Tales of a Sea Cow diventa un racconto nostalgico, perché pone dei bivi possibili sul passato di una storia che non potremmo mai vivere. Ma la nostalgia non è come la speranza e l’aspettativa, tutte orientate al futuro, e nemmeno come la rinuncia e l’abbandono, fermi sul passato. La nostalgia osserva il passato, esamina il presente e guarda il futuro in un gioco di cortocircuiti esistenziali che spezzano il tempo e lo spazio.


Claudio Cravero



[1] Corrado Augias, Il Disagio della libertà, Ed. Rizzoli, Milano, 2012, p. 38
[2] Ibidem

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