giovedì 3 novembre 2011

Guardarsi allo specchio e vedere il mondo

Tutto è cominciato così.
Da uno scambio di mail tra Orietta Brombin, responsabile delle Attività educative e formative del PAV, e il CAE, il Critical Art Ensemble, che ha proposto:

un workshop che metta in relazione la condizione di precarietà che accomuna le specie vegetali a rischio e gli spazi di verde e socialità anch’essi a rischio, così da rafforzare e proteggere entrambi.
In molti paesi, le specie vegetali a rischio godono di una protezione legale ad hoc. Mal che vada, queste leggi servono quantomeno a suscitare la simpatia del pubblico e danno ai conservazionisti uno strumento etico per le loro battaglie.
Queste piante possono anche essere fragili come specie, ma prese singolarmente sono tenaci. Se si potesse, attraverso un’azione di riappropriazione del territorio, incanalare questa loro forza sugli spazi umani e naturali che subiscono l’erosione per mano dei più diversi agenti del capitalismo, interessati al profitto e/o al potere, e sono gestiti invece da persone troppo deboli per difenderli, forse sarebbe possibile dare il via a una forma di simbiosi socio-politica tra il mondo vegetale e gli esseri umani. Il verde crescerebbe perché la gente si impegnerebbe a coltivare sempre più piante a scopo di autodifesa, occupandosi così di arginare la riduzione della biodiversità, e a loro volta anche gli spazi pubblici godrebbero della protezione legale che salvaguarda le piante a rischio estinzione e verrebbero messi al riparo dai tentativi di aggressione o cancellazione ad opera di chi vorrebbe appropriarsene e sfruttarli.

Questa la sfida del workshop che il CAE intendeva proporre al pubblico del PAV per l’inizio di novembre 2011.
Una proposta articolata, complessa e un’ipotesi di lavoro tutta da verificare.

Ecco come nasce il percorso Guardarsi allo specchio e vedere il mondo, un tempo dedicato a sviluppare le sollecitazioni del CAE e indagare le possibilità, i limiti e le connessioni del tema; un laboratorio continuo, cadenzato su incontri periodici (ogni due settimane), in ambiente self-education, dove cioè si mettono in comune saperi ed esperienze.
Affidato alle cure dell’artista Jacopo Seri, il percorso esordisce il 13 maggio 2011 alla GAM di Torino, nell’ambito della rassegna Zonarte 2011, promossa dalla Fondazione per l'Arte Moderna e Contemporanea – CRT,  che mette in rete i dipartimenti educativi dei principali musei d’arte contemporanea della Città e della Regione.
Quel giorno il percorso ha preso il via, radunando un primo manipolo di pionieri disposti all’avventura. Nel corso dei mesi il gruppo ha assunto forme e dimensioni diverse, accogliendo via via le persone più disparate, ma tutte curiose di vedere cosa stava succedendo. Qualcuno si è solo affacciato, qualcuno è rimasto, tutti hanno lasciato un contributo, un suggerimento, un’idea.

Hanno partecipato artisti, agronomi, architetti, antropologi, danzatori, esperti forestali, fotografi, geologi, insegnanti, paesaggisti, psicologi, studenti dell’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino, traduttori, cittadini.
Hanno partecipato al gruppo (in ordine di apparizione):
Iacopo Seri, Nunzio Cirulli, Cinzia Termini, Gabriella Moltoni, Luca Pinciaroli, Stefano Lattanzio, Venceslao Cembalo, Marco Toscano, Massimiliano Pautasso, Gianluca Cosmacini, Gabriella Mazzola, Setsuko, Andrea Ighina, Igor Cicconetti, Daniele Fazio, Cristina Balma Tivola, Doriana Crema, Paola Colonna, Giovanna Bonito.
Con la partecipazione di: gruppo Arte Terapia ASL To2, Monica Murdaca-Simone, allievi della Scuola Professionale Orafi E. G. Ghirardi, Paola Martinengo, Daniela Callegari, Elisa Bruna Urbani, Carla Tenivella, Emma Pilone, Giulio Selciti, Liana Galeotti Mazzoleni, Claretta Zo, Claudia Bonvissuto, Ilaria Benecchi, Ornella Capretto, Sunil Vallu.
Cordinamento: staff delle Attività educative e formative del PAV: Orietta Brombin (responsabile), Emanuela Romano e Valentina Salati (educatrici), Francesca Doro (stagista).

Grazie a tutti loro, siamo pronti ad affrontare il workshop_23 NEW ALLIANCE, dal 3 al 6 novembre. Il CAE - Steve Kurtz, Lucia Sommer e Steven Barnes – coinvolgerà il pubblico del PAV in discussioni, esplorazioni nel territorio ed elaborazioni etico-estetiche che toccheranno i temi della responsabilità dei gesti quotidiani e i rapporti tra artificiosità e naturalità dei comportamenti: all’interno dell’ambiente, nella comunicazione con l’Altro e in relazione alle criticità che la società contemporanea vive nell’abitare gli spazi urbani e la natura. Obiettivo dichiarato: formulare una  possibile Nuova Alleanza tra le persone e le piante.
Il workshop approderà ad Artissima 18 per una giornata di presentazione e attivazione con il pubblico, pranzo conviviale incluso: sabato 5 Novembre 2011 dalle 11 alle 17..

Guardarsi allo specchio e vdere il mondo: 6 mesi di incontri, discussioni e scoperte.
Il diario del percorso è qui riassunto nelle “puntate” di  una complessa sceneggiatura, pallida eco delle esperienze vissute dal gruppo:

Guardarsi allo specchio e vedere il mondo, GAM, 13 maggio
Durante il primo incontro introduttivo, alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, abbiamo cominciato a confrontarci e conoscerci disegnando. Ognuno ha disegnato un suo autoritratto in forma di fiore, in seguito confluito in un’unica composizione murale collettiva. In questo modo è iniziata la formazione del gruppo di lavoro, la reciproca conoscenza e soprattutto il rapporto con la sfera vegetale, un percorso di conoscenza di sé attraverso le piante. Con gli autoritratti sono state stampate decine di cartoline, complete di dedica e francobollo, da spedire al prof. Steve Kurtz, presso il suo studio all’Università di Buffalo (stato di New York) dove l’artista insegna al College of Arts and Sciences, Department of Visual Studies.


Terapia dell’attesa, PAV, 24 maggio
A partire da questa sessione di laboratorio abbiamo deciso di dare un titolo a ciascuna puntata, affidandoci alla dote di sintesi creativa che abbiamo scoperto in Nunzio. Si è qui discusso dei temi chiave che potessero essere utili alla preparazione dei contenuti e dei materiali da proporre durante il workshop di novembre, a cominciare dalla lettura della mappa della città, dove sono stati individuati i luoghi di appartenenza di ciascuno, scegliendo gli spazi urbani nei quali la natura è presente e con i quali trovare un legame affettivo. Abbiamo individuato alcuni luoghi dove la natura è presente a vario titolo e che potrebbero diventare una possibile meta di esplorazione con il CAE: il greto del Po accanto alla Gran Madre; il mercato di Porta Palazzo; l’ex stadio Filadelfia; lo spartitraffico, in mezzo a corso Regina Margherita, trasformato in giardino coltivato da un cittadino; l’area cintata tra corso Giulio Cesare ed il lungo Dora; l’ex Istituto di correzione femminile Buon Pastore in corso Principe Oddone.
La lettura della novella Funghi in città nel Marcovaldo ovvero le stagioni in città di Italo Calvino ci ha fatto ripensare agli spartitraffico che oggi alcuni cittadini coltivano. Si è rilevato quanto sia ispiratrice l’esistenza di spazi liberi e indecisi per gli uomini e per animali che vi trovano rifugio, e anche quanto il tempo sia un ingrediente fondamentale per qualsiasi progetto che preveda un’alleanza col mondo vegetale. Si tratta di abituarsi a uno sguardo meno frettoloso, più profondo, capace di cogliere le presenze vegetali spesso nascoste in mezzo al cemento. Ci siamo orientati verso le aree dismesse e in attesa di destinazione, in un certo senso luoghi indecisi, che resistono con la loro libera espressione alla logica della città, per approdare infine, un pensiero dietro l’altro, all’idea che osservare crescere una pianta può essere definito un esercizio di bellezza.


L’ultimo grande spazio a Torino, ex Fiat Avio, PAV, 7 giugno
L’architetto Marco Toscano, della Regione Piemonte ci ha guidato in visita all’interno del ex sito industriale di via Passo Buole, ora in via di riqualificazione, e, per orientarci nella ricognizione delle specie botaniche pioniere, si sono uniti al gruppo di lavoro il geologo Massimiliano Pautasso e gli esperti forestali Andrea Ighina e Igor Cicconetti.  
Abbiamo preso coscienza di come l’abbandono dell’attività umana trasformi uno spazio in qualcosa che assomiglia al caos, ma che è un ordine più implicito e più a vasta scala e con regole sconosciute.
La vastissima area, come un’isola nella città, ha suscitato forti impressioni: luogo sospeso, a metà fra La Zona di Stalker, immaginata dal regista Tarkowski, e un giardino primordiale in espansione. Ambiente a prima vista inospitale e nello stesso tempo pieno di grande vitalità, l’area presentava diverse specie spontanee: pioppi ibridi, salici, buddleie, oltre a comunità di lepri e scoiattoli. Qui la natura si è riappropriata del suo spazio. Piante pioniere come l’ailanto, arbusto infestante dalla rapidissima proliferazione sempre presente nelle aree abbandonate, aprono la strada alle specie di seconda colonizzazione. è stato l’esempio vegetale a farci sentire il bisogno di boschi urbani, e ancor più il desiderio di una nuova cittadinanza attiva che possa svilupparsi in sintonia con il territorio naturale, rispettandolo e curandolo, in forma di gestione condivisa.


La Forza della natura che è più grande della forza umana, PAV, 21 giugno
Oltre alla realizzazione di altre cartoline autoprodotte, all’organizzazione della loro spedizione da luoghi e tempi diversi, la sessione di laboratorio è servita per fare esercizio di nuovi vocaboli inglesi per prepararci a dare il nostro benvenuto al CAE. Ricollegandosi alla precedente esplorazione sul campo abbiamo scorso le fotografie e preso visione di materiale web che illustra le sconvolgenti modifiche dell’area ex Fiat Avio. Il tema principale discusso è stato il confronto tra natura e tecnologia e come questa possa mettersi al servizio della natura. Una domanda lasciata aperta è se la tecnologia stessa non possa essere considerata parte della natura: dove passa la linea di confine tra naturale e artificiale? Pur riconoscendo le differenze di comportamento tra diverse entità viventi, sono emerse la possibilità e la volontà di considerarsi parti non districabili di un unico organismo in trasformazione.
Siamo tornati ancora una volta a riflettere sull’esempio emblematico offerto dall’ailanto (Ailanthus altissima), specie alloctona importata all’inizio del ‘900 dall’Asia, per tentare di allevare una farfalla, il Bombice dell’Ailanto (Philosamia cynthia), simile ai bachi da seta. Ne abbiamo rilevato la presenza presso scarpate ferroviarie ed altre zone selvagge tra le costruzioni, e ci siamo chiesti se questa pianta, che inaridisce il terreno dove cresce e lo rende meno ospitale per le altre specie, non sia ormai parte integrante del nostro ecosistema, anzi forse addirittura paradigma del nostro modello di sviluppo inarrestabile e portatore di aridità a più livelli.



La frequenza che mette in contatto gli uomini e le piante è il silenzio, PAV, 5 luglio
In questo incontro sono stati allestiti tre tavoli di lavoro (letteratura, cartografia, progettazione) per sviluppare gli spunti raccolti e dare respiro alle esperienze vissute. Si è così avviata la produzione dei documenti (testi e immagini) volti alla realizzazione di questo diario e di un quaderno con approfondimenti e spunti di lavoro utili al workshop con il CAE.
Al tavolo della letteratura, con libri e dispense che spaziano dal Barone Rampante a cataloghi di erbe urbane, si è prodotto un collage di storie e frasi emblematiche. Il tavolo della cartografia ha affrontato la mappatura delle zone verdi della città quali siti di possibili interventi, per poi continuare in una deriva visionaria inventando nuove possibili aree di riconquista verde. Il tavolo della progettazione è servito a mettere insieme tutte le diverse esperienze di utilizzo del verde in città, e a partire da queste, a progettare nuove idee di intervento.


Liberare l’immaginazione come i semi volanti, Quartiere San Salvario,19 luglio
Questa uscita di luglio, sotto una calda pioggia monsonica, ci ha portati a visitare gli orti urbani privati e pubblici realizzati all’interno del quartiere San Salvario: dall’orto sospeso dello Studio 999, alle coltivazioni condivise della Casa del Quartiere, fino alla coraggiosa aiuola spontanea di piazza Nizza (fronte arrivo Metro).
Abbiamo potuto così osservare e sperimentare modi inediti di vivere lo spazio e di ricavare nicchie verdi secondo le contingenze e le necessità. Raccogliendo impressioni, racconti e opinioni dei cittadini incontrati nel comune passeggio, abbiamo rilevato la loro disponibilità verso nuove pratiche di utilizzo degli spazi pubblici e, allo stesso tempo, la difficoltà ad occuparsene. Ci siamo fatti l’idea che per far vivere un orto urbano serva, piuttosto che una partecipazione generalizzata, un piccolo gruppo di persone altamente motivate, possibilmente ben organizzate e con del tempo a disposizione. Abbiamo visto inoltre che la miglior tipologia di spazio da utilizzare è a metà tra la sfera pubblica e quella privata: la troppa esposizione (aiuole spartitraffico) porta spesso al degrado dell’orto e comunque ad un elevato grado di inquinamento, d’altra parte gli orti totalmente privati (magari nei terrazzi) non contribuiscono significativamente a migliori pratiche di interazione col vegetale. L’ideale sarebbe quindi, forse, l’utilizzo di zone condominiali condivise, leggi e litigi permettendo.


Ma cosa vogliono le piante?, PAV, 13 settembre
In questa sessione ci siamo dedicati a raccogliere tutti i contributi portati da ciascun partecipante al gruppo in schede organizzate secondo le seguenti categorie: progetti urbani di giardini condivisi; tipologie di orti e giardini (giardini dei semplici, giardini delle spezie, coltivazioni “in scatola”, in particolare dei funghi); legislazione vigente; pubblicità e stile di vita contemporaneo; cronistoria del percorso.
Hanno partecipato al laboratorio, in qualità di esperti, l’architetto paesaggista Gianluca Cosmacini e l’agronomo Daniele Fazio.
Ricordando l’ultima passeggiata, ci siamo chiesti quale sia il senso di un’alleanza tra piante e persone, come ci è stata proposta dal CAE, e se la pratica del coltivare orti vi possa essere inclusa o non sia piuttosto un’ennesima concezione utilitaristica del bene naturale. L’esperienza ci dice che si desiderano, si coltivano, si curano o si proteggono solo piante che soddisfano i nostri bisogni: sfamarsi, coprirsi, godere del bello. Vorremmo ampliare il discorso a tutte quelle piante che non hanno una evidente utilità e si siamo chiesti come, attraverso la conoscenza, diffondere una cultura del rispetto per tutte le specie, anche quelle “inutili”.
Tra i diversi tipi di coltivazione urbana possono rientrare orti itineranti a rotelle in aree di temporaneo disuso e, a sfruttamento edilizio iniziato, spostabili in successive zone propizie. Una sorta di continuità discontinua in cui il verde migra di luogo in luogo per occupare interstizi dimenticati dalla produttività economica.
La sfida è quella di capire quali siano le esigenze delle piante e abbiamo cercato di individuare i parametri per capirlo. Gli elementi a disposizione sono pochi, ma alcuni punti fermi sono sicuramente il tempo, il silenzio e la ricerca di un’empatia intraspecie.
Daniele Fazio ci ha illustrato la legislazione per la salvaguardia di specie regionali in pericolo, cercando di verificare la fattibilità della proposta del CAE. In realtà colonizzare un’area abbandonata per restituirla allo spontaneismo sociale umano e vegetale facendo leva sul protezionismo ambientale non trova appigli nella giurisprudenza sul tema, nazionale o regionale. Ci troveremmo anzi nella surreale condizione di impiegare specie quasi tutte di piante di alta montagna, che non avrebbe senso deportare in un habitat come quello cittadino. Invece potrebbe essere utile ricreare un habitat intero, come un bosco, e aspettare pazientemente che cresca. Per legge, infatti quel bosco dopo vent’anni non potrà essere tagliato.


Luoghi Liberati, Corso Bramante, Via Zino Zini, PAV, 27 settembre
Per questo pomeriggio ci siamo dati un appuntamento a metà del cavalcavia di Corso Bramante, lungo la strada che porta al PAV, per un percorso di osservazione a planare, che ci portasse dalla visione dall’alto allo sguardo ravvicinato degli spazi, dal verticale all’orizzontale, fino a un’immersione sensoriale nel verde.
Abbiamo osservato via Zino Zino (filosofo) snodarsi come un lungo serpentone sotto i nostri piedi e con gli stessi l’abbiamo poi percorsa in lungo, seguendo il cammino della ferrovia e tutto attorno all’area occupata dal PAV, scoprendo anche un’inaspettata aiuola verde che si affaccia, quasi come una terrazza, sui binari ferroviari. Sulla pagina Facebook “Per coloro che amano via Zino Zini a Torino”, si legge: Non è possibile restare impassibili al fascino di questa via che praticamente è un'autostrada in mezzo a Torino.
Tornati in laboratorio al PAV, siamo tornati a discutere su quanto sia importante per lo sviluppo di un progetto finale la continuità dell’azione, la comunicazione di quanto messo in atto, l’equilibrio tra il dare e l’avere all’interno dell’alleanza, e la tensione tra materiale e spirituale nell’agire. Abbiamo anche parlato di dialogo energetico, e fisico, con le piante: la prossima volta, affidandoci a Paola Colonna, che pratica e insegna danza sensibile, proveremo a “sentire” la vicinanza delle piante attraverso esercizi di rilassamento, respirazione e contatto nel verde.


Voglio proprio vedere, Lungo Dora Firenze angolo Corso Giulio Cesare, 11 ottobre
Questa volta ci siamo dati appuntamento nella zona nord della città.
L’area urbana che ci è stata segnalata è uno spiazzo abbandonato da anni che, negli scorsi anni ma ora non più, ha ospitato circhi in transito. Qui Paola ci ha condotti a un approccio di tipo performativo per provare a comunicare con l’ambiente attraverso la totalità del nostro corpo. A piedi nudi, stesi sullo spiazzo erboso tra corso 11 Febbraio e Lungo Dora Savona, il tempo si è fermato e, inaspettatamente indisturbati dalle centinaia di automobili in veloce passaggio, siamo riusciti ad assaporare minuti di pace a contatto con il suolo.


Chi è il CAE?, PAV, 25 ottobre
Comincia il count-down: per l’imminente workshop del 3-4-5-6 novembre con il CAE Critical Art Ensemble – NEW ALLIANCE/worksop_23 del PAV. Abbiamo fatto il punto della situazione, riorganizzando  i pensieri e i materiali raccolti lungo il percorso.
L’incontro è servito anche per conoscere a distanza l’opera del collettivo militante, questa è, in breve, la loro storia:
Il CAE, Critical Art Ensemble, fondato nel 1987 da Steven Kurtz e Steven Barnes, è un pluripremiato collettivo di artisti impegnati a esplorare le intersezioni tra arte, tecnologia, attivismo politico e teoria critica attraverso la computer grafica e web design, wetware, film/video, fotografia, text art, libro d'arte e performance. Per due decenni CAE ha prodotto ed esposto opere artistiche basate sugli interrogativi posti dall’informazione, la comunicazione e le bio-tecnologie. Il collettivo ha realizzato e prodotto una grande varietà di progetti in luoghi diversi che vanno dalla strada, al museo, a Internet. Il collettivo è stato invitato a esporre e a esibirsi nelle più importanti istituzioni culturali internazionali, tra gli altri il Whitney Museum e il New Museum di New York, il Corcoran Museum di Washington DC, l'ICA di Londra, la Schirn Kunsthalle di Francoforte, il Musée d'Art Moderne di Parigi, il Natural History Museum di Londra.

Mandragora

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