martedì 28 ottobre 2014

Altre parole

Un ragazzo, guardando il murale, ha visto nelle figure che lo compongono delle aperture oltre il muro, qualcosa che permette la comunicazione tra più piani: il muro di mattoni rossi, le foglie di cui alcuni corpi sono composti, che creano dei percorsi morbidi, da seguire come  strade da percorrere; e ancora corpi che rivelano luoghi fatti di materiale che possiamo immaginare industriale: reti, tondini, fili. Il ragazzo non era a conoscenza del percorso che in questi mesi ci ha portato a questo risultato, ma questa semplice osservazione mi ha fatto tornare all’inizio della nostra ricerca, a settembre 2013, e alla stratificazione di cui è fatto il PAV, che da fabbrica è passato ad essere territorio industriale dismesso prima di rivivere nella dimensione di parco e centro d’arte contemporanea. Questi passaggi rivivono tramite i lavori di artisti, presenti al PAV, che ci hanno introdotto al tema del percorso e dei suoi contrasti: aperto/chiuso, dentro/fuori, sopra/sotto, superficie/profondo. Contrasti di cui sono fatti i luoghi e di cui siamo fatti noi. Il murale di “Oltre Modo” (nome che il gruppo si è dato), si colloca all’interno di un viaggio triennale con il PAV, come processo di crescita e Invenzione di Paesaggi Sociali, in cui l’arte agisce nell’ambiente come processo di benessere collettivo. Desidero riportare le parole di un partecipante al progetto, che rappresenta il modo in cui far parte del gruppo abbia fatto emergere in ognuno sensazioni profonde sul nostro percorso dentro e fuori dal PAV, e su cosa abbia rappresentato quest’esperienza: “edificio strano, ecologico, un convento separato dalla città, emozionarsi, ricerche mentali, accogliere e stare insieme, gioco, essere infantili non nel significato di stato regressivo, ma in quanto stato liberatorio, di happening. Mi sono sentito un bambino”. Quest’ultima frase ci emoziona perché sentirsi bambino significa poter sperimentare nel campo creativo e in quello relazionale e ci fa pensare che Oltre Modo ha dato vita a un gioco collettivo.
Luisa


L’idea è partita da un writer che si divertiva a fare delle figure nella metropolitana di New York e divenne famoso per la sua arte lavorando in molti luoghi. Noi abbiamo lavorato in collaborazione con i fotografi del Bandolo e abbiamo così ricavato delle sagome che sono state incollate sul muro concesso dopo una lunga ricerca. Per trarre delle idee ci siamo recati al Bunker di Torino.
Abbiamo formulato una sintesi che rappresentasse le nostre ispirazioni e che fosse la conclusione di un percorso effettuato dal nostro gruppo. Il lavoro finale è il prodotto di varie persone che hanno partecipato e suggerito l’idea dell’opera murale.
Nell’angolo inferiore destro vi è il logo ideato e scelto per quest’opera.
È una riflessione individuale e di gruppo dell’interno ed esterno del pensiero visivo. Abbiamo pianificato il nostro pensiero attraverso la gestualità.
Tommaso e Franco


Il muro
Tante persone, un solo progetto: “Il muro”.
Come attorno a un alveare le api infervorate ronzano per produrre il miele, così le persone infervorate collaborano alla costruzione del muro. Che piano piano si riempie di figure che lo riempiono. E finalmente un progetto diventa realtà. E questa è la realtà del Parco Arte Vivente, da un sogno alla sua realizzazione.
Flavia


Il muro abitato
Muro di mattoni accoglie sagome umane coreograficamente studiate per stupire.
Maria


Guardando l’opera conclusiva, mi è passata la fatica.
Franco


Uomo e Muro: un connubio di interazione da migliaia di Anni.
Uomo e Muro: Nozze dall’Antichità
Muro e Uomo: patto d’amicizia
Muro come linea di divisione barriera
Muro come “contenitore” e accoglienza di rifugio.
Ariberto


Gianluca era circondato da recinti che lo difendevano  dalle insidie della città e dai rapporti con gli altri. Un giorno scopre che può esprimersi più facilmente con la fotografia e che può condividere  questa possibilità con altre persone. È così che si forma, cinque anni fa, il gruppo di fotografia del Bandolo su iniziativa dell’associazione Insieme. Quando a fine gennaio, al gruppo di fotografia del Bandolo è stata offerta la possibilità di realizzare un percorso in comune con il progetto di educazione all’arte in corso al PAV, l’adesione è stata immediata per le note competenze riconosciute allo staff del PAV.                                                                                                                          
Inoltre il gruppo di fotografia, che dalla sua costituzione,  persegue la rottura dei recinti e delle limitazioni alle relazioni personali e dei cluster, aveva la consapevolezza che il contatto tra gruppi disomogenei, inizialmente  avrebbe aggiunto difficoltà a difficoltà, ma che proprio il suo superamento avrebbe generato  un risultato positivo per le persone e per i gruppi.
Il gruppo di fotografia, che ha utilizzato, all’inizio del percorso, le proprie competenze specifiche, è stato coinvolto operativamente nelle diverse fasi del progetto, sperimentando con interesse e soddisfazione, nuove tecniche didattiche e modalità espressive, per poi concludere ritornando a inquadrare, ma con occhi nuovi e oltremodo, le persone e le immagini del progetto.
Rodolfo

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