venerdì 4 febbraio 2011

RI-CREAZIONE L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità genetica


Nell’era postumana molte fedi diventano
ridondanti - non ultima la fede negli esseri umani.

(Robert Pepperell, Manifestodel postumano. Capire come il mondo cambia è cambiare il mondo, 1995)



Al centro del dibattito mediatico negli ultimi decenni, capaci di alimentare speranze e allo stesso tempo destare angosce, le biotecnologie e la manipolazione genetica – fin dalla loro nascita – sono sempre state accompagnate da furiose polemiche e controversie.
Pur essendo molto meno invasive di altre tecnologie, come quelle dell’informazione e della comunicazione, le biotecnologie, con i sempre più sofisticati strumenti di controllo e manipolazione, destano molte più preoccupazioni in quanto oggetto del loro studio è la “disciplina del vivente”.
Da una parte vi è il desiderio di impossessarsi dei misteri della vita, dall’altra il timore di aprire un moderno vaso di Pandora da cui potrebbero scaturire ingenti catastrofi. Così le folli e amorali profezie di Wells ne L’isola del dottor Moreau , creatore-padrone, risalenti a più di un secolo fa, sembrano avverarsi e l’uomo, combattuto tra morale e progresso scientifico, oscilla tra timore e fascinazione.
All’alba di quella che Jeffrey Deitch definisce “era post-umana”, alcune dicotomie fondanti il pensiero moderno devono essere inevitabilmente riviste e confini comunemente tracciati ridisegnati.
Nella coesistenza tra organismi diversi, in un processo di biodiversificazione continuamente in atto, i limiti tra reale e virtuale, tra organico e non organico, tra vivente e non vivente  diventano impercettibili dando origine ad una perdita di identità dove l’uomo, non più dominatore “sui pesci del mare e sugli uccellidel cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra” (Vecchio Testamento, Genesi, 28),  diventa corpo modificabile, smontabile e riassemblabile.
E’ la fine dell’evoluzione naturale e, nel tentativo di superamento dei limiti biologici, l’inizio dell’evoluzione artificiale?

In questo complesso quadro di svolta bio-tecnologica del sistema politico-economico, dove i timori legati allo sviluppo delle manipolazioni genetiche sono proporzionali alla minaccia di un’evoluzione dettata da un gusto estetico e da esigenze di mercato, l’arte – il cui ruolo è quello di definire e rappresentare l’identità naturale, sociale e culturale del proprio tempo – non resta di certo indifferente.
Nell’esplorazione scientifica del vivente,  prevaricando i confini tra naturale e artificiale, l’arte disegna nuovi territori dati dall’utilizzazione estetica di materiali presi in prestito dalle biotecnologie: è l’Art Biotech, in cui sperimentazione scientifica ed esperienza artistica si fondono e dove l’arte si fa tramite tra il complesso apparato tecnico scientifico e la società.
La prima comparsa dell’Art Biotech risale al 2003, con una mostra dal titolo omonimo che ne sancisce la nascita e che definisce il movimento, non senza suscitare polemiche e critiche.
La mostra Art Biotech si tiene a Nantes, in Francia, presso La Galérie Le Lieu Unique e Jens Hauser, il suo curatore, afferma: “Lo scopo dell’ art biotech è sollevare il velo su quanto accade nei laboratori di genetica per interrogarsi sulle tecnologie e imparare ad usarle”.
Ma l’arte ha il diritto di ricorrere a metodologie utilizzate nell’ambito della ricerca scientifica?
La materia vivente è sempre stata oggetto di rappresentazione da parte degli artisti ma ora, con gli artisti biotech, diventa medium espressivo.
Gli artisti biotech trasformano materiale organico concreto, entrano nei laboratori e, con l’ausilio di scienziati e ricercatori, manipolano i meccanismi della vita e forniscono un’applicazione poetica dei processi biotecnologici definendo una nuova estetica dove realtà e finzione, artificiale e reale sono separati da un sottilissimo confine in cui diventa sempre più difficile distinguere l’organico dal post-organico, l’originale dal manipolato, dal clonato. Nel far ciò gli approcci sono eterogenei.

Marta De Menezes trasforma laboratori scientifici in atelier e in Nature? interviene sugli equilibri proteici di alcune specie di farfalle –attraverso l’amministrazione locale di alcune proteine - alterandone il fenotipo, ma senza ricorrere alla modificazione genetica. Esplorando in questo modo i confini tra scienza ed arte, tra naturale e alterato, tra creato e ri-creato, l’artista progetta e genera su una delle due ali delle farfalle motivi mai visti in natura. Da una parte il risultato di milioni di anni di evoluzione naturale, dall’altra il risultato dell’esercizio estetico dell’artista. Ma Nature? è un’arte che ha la durata di una vita e, contrariamente a quanto accade agli organismi geneticamente modificati, i motivi creati dall’artista non sono trasmissibili.
Anche George Gessert, sedotto dalle potenzialità estetiche della materia organica, dà vita a ricercate combinazioni vegetali, ibridazioni che non seguono altro che il piacere personale dell’artista ma che tuttavia inducono ad una sottile riflessione sul controllo che il gusto corrente e il mercato esercitano sulle manipolazioni genetiche.
Il lavoro pionieristico di Eduardo Kac ci fornisce invece gli strumenti per sviluppare una visione consapevole e critica, indipendentemente dal giudizio estetico, sulle relazioni che intercorrono tra scienza, etica e vita. Così Alba, il coniglio GFP Bunny, nel quale viene impiantato attraverso un processo transgenetico il gene di una medusa che lo rende fluorescente suscitando clamore e attenzione dei media, non è altro che una provocazione sui temi della creazione transgenetica.
Dal canto suo Dario Neira utilizza le biotecnologie come medium funzionale a esprimere la propria esperienza quotidiana per creare interconnessioni tra apparato fisico e psichico, tra corpo e parola, tra tessuto e testo.
Il mito ancestrale del controllo della vita emerge evidente nei lavori degli artisti biotech i quali, mettendo in relazione un sistema complesso di questioni con un altrettanto complicato approccio artistico, infrangono tabù consolidati e ci restituiscono una visione poetica del mondo, un’alterità che alimenta la biodiversità.




Marta De Menezes, Nature?, 1999

Stefania Crobe
Attività Educative e Formative, PAV

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