tag:blogger.com,1999:blog-79579194931706632732024-03-13T17:57:52.764+01:00PAVzinePAV Turinhttp://www.blogger.com/profile/03783231213568284043noreply@blogger.comBlogger38125tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-76179996593915998732014-10-28T11:31:00.003+01:002014-10-28T11:41:24.482+01:00Altre paroleUn ragazzo, guardando il murale, ha visto nelle figure che lo compongono delle aperture oltre il muro, qualcosa che permette la comunicazione tra più piani: il muro di mattoni rossi, le foglie di cui alcuni corpi sono composti, che creano dei percorsi morbidi, da seguire come strade da percorrere; e ancora corpi che rivelano luoghi fatti di materiale che possiamo immaginare industriale: reti, tondini, fili. Il ragazzo non era a conoscenza del percorso che in questi mesi ci ha portato a questo risultato, ma questa semplice osservazione mi ha fatto tornare all’inizio della nostra ricerca, a settembre 2013, e alla stratificazione di cui è fatto il PAV, che da fabbrica è passato ad essere territorio industriale dismesso prima di rivivere nella dimensione di parco e centro d’arte contemporanea. Questi passaggi rivivono tramite i lavori di artisti, presenti al PAV, che ci hanno introdotto al tema del percorso e dei suoi contrasti: aperto/chiuso, dentro/fuori, sopra/sotto, superficie/profondo. Contrasti di cui sono fatti i luoghi e di cui siamo fatti noi. Il murale di “Oltre Modo” (nome che il gruppo si è dato), si colloca all’interno di un viaggio triennale con il PAV, come processo di crescita e Invenzione di Paesaggi Sociali, in cui l’arte agisce nell’ambiente come processo di benessere collettivo. Desidero riportare le parole di un partecipante al progetto, che rappresenta il modo in cui far parte del gruppo abbia fatto emergere in ognuno sensazioni profonde sul nostro percorso dentro e fuori dal PAV, e su cosa abbia rappresentato quest’esperienza: “edificio strano, ecologico, un convento separato dalla città, emozionarsi, ricerche mentali, accogliere e stare insieme, gioco, essere infantili non nel significato di stato regressivo, ma in quanto stato liberatorio, di happening. Mi sono sentito un bambino”. Quest’ultima frase ci emoziona perché sentirsi bambino significa poter sperimentare nel campo creativo e in quello relazionale e ci fa pensare che Oltre Modo ha dato vita a un gioco collettivo.<br />
Luisa<br />
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L’idea è partita da un writer che si divertiva a fare delle figure nella metropolitana di New York e divenne famoso per la sua arte lavorando in molti luoghi. Noi abbiamo lavorato in collaborazione con i fotografi del Bandolo e abbiamo così ricavato delle sagome che sono state incollate sul muro concesso dopo una lunga ricerca. Per trarre delle idee ci siamo recati al Bunker di Torino.<br />
Abbiamo formulato una sintesi che rappresentasse le nostre ispirazioni e che fosse la conclusione di un percorso effettuato dal nostro gruppo. Il lavoro finale è il prodotto di varie persone che hanno partecipato e suggerito l’idea dell’opera murale.<br />
Nell’angolo inferiore destro vi è il logo ideato e scelto per quest’opera. <br />
È una riflessione individuale e di gruppo dell’interno ed esterno del pensiero visivo. Abbiamo pianificato il nostro pensiero attraverso la gestualità. <br />
Tommaso e Franco<br />
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Il muro<br />
Tante persone, un solo progetto: “Il muro”.<br />
Come attorno a un alveare le api infervorate ronzano per produrre il miele, così le persone infervorate collaborano alla costruzione del muro. Che piano piano si riempie di figure che lo riempiono. E finalmente un progetto diventa realtà. E questa è la realtà del Parco Arte Vivente, da un sogno alla sua realizzazione.<br />
Flavia <br />
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Il muro abitato<br />
Muro di mattoni accoglie sagome umane coreograficamente studiate per stupire.<br />
Maria<br />
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Guardando l’opera conclusiva, mi è passata la fatica.<br />
Franco<br />
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Uomo e Muro: un connubio di interazione da migliaia di Anni.<br />
Uomo e Muro: Nozze dall’Antichità<br />
Muro e Uomo: patto d’amicizia<br />
Muro come linea di divisione barriera<br />
Muro come “contenitore” e accoglienza di rifugio.<br />
Ariberto<br />
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Gianluca era circondato da recinti che lo difendevano dalle insidie della città e dai rapporti con gli altri. Un giorno scopre che può esprimersi più facilmente con la fotografia e che può condividere questa possibilità con altre persone. È così che si forma, cinque anni fa, il gruppo di fotografia del Bandolo su iniziativa dell’associazione Insieme. Quando a fine gennaio, al gruppo di fotografia del Bandolo è stata offerta la possibilità di realizzare un percorso in comune con il progetto di educazione all’arte in corso al PAV, l’adesione è stata immediata per le note competenze riconosciute allo staff del PAV. <br />
Inoltre il gruppo di fotografia, che dalla sua costituzione, persegue la rottura dei recinti e delle limitazioni alle relazioni personali e dei cluster, aveva la consapevolezza che il contatto tra gruppi disomogenei, inizialmente avrebbe aggiunto difficoltà a difficoltà, ma che proprio il suo superamento avrebbe generato un risultato positivo per le persone e per i gruppi.<br />
Il gruppo di fotografia, che ha utilizzato, all’inizio del percorso, le proprie competenze specifiche, è stato coinvolto operativamente nelle diverse fasi del progetto, sperimentando con interesse e soddisfazione, nuove tecniche didattiche e modalità espressive, per poi concludere ritornando a inquadrare, ma con occhi nuovi e oltremodo, le persone e le immagini del progetto.<br />
RodolfoPAV Turinhttp://www.blogger.com/profile/03783231213568284043noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-90118923647904882262014-10-28T11:30:00.001+01:002014-10-28T11:30:37.874+01:00Oltre Modo<b>Nelle profondità del buio</b><br />Laura Viale ha avviato Senza titolo (Inframondo) nel 2012, in coincidenza con profonde riflessioni originate da indagini mediche invasive sul proprio corpo, sottoposto a esami diagnostici endoscopici. Il progetto, pensato per l’esplorazione e mappatura di una grotta lavica etnea, si è rivelato di ampio respiro tanto da adattarsi a diverse (e dislocate in località europee) grotte e cavità: punti di contatto tra esterno e interno, varchi d’accesso della complessa orografia del pianeta. Con il workshop Inframondo, realizzato al PAV nel 2013, l’artista ha proposto l’esplorazione, nella completa oscurità, di una cavità profonda dentro la conformazione rocciosa delle grotte di Pugnetto, a circa 825 metri d’altitudine nel Comune di Mezzenile. L’azione si è andata connotando in progress come un vero e proprio metodo, dove la performance sconfina in esercizio di trekking naturalistico e implica un viaggio verso luoghi da esplorare nel concreto e dei quali apprezzare esperienze sensibili: cognitive e di carattere, oltre che artistico, anche psicologico, relazionale, ambientale. Con la guida attenta di speleologi e dopo quasi due ore di cammino, l’escursione si è soffermate in un grande slargo della grotta per una sessione di disegno. Le pareti irregolari e corrugate della caverna sotterranea si sono prestate al frottage di rilievi e depressioni, ottenuti con grafite sfregata su carta millimetrata aderente alla superficie di roccia umida.<br /><b><br />Emersione in piena luce</b><br />This is the place where I feel at home è un’opera appositamente studiata per il PAV da botto&bruno. Questo lavoro, che riflette sul cambiamento e sulla trasformazione dei luoghi al fine di preservarne la memoria e la percezione, prende in esame, come è abitudine dei due artisti, aree marginali o residuali, spazi al limite quanto estremi, reali o generati dall’immaginazione. L’installazione di botto&bruno, realizzata con un collage fotografico, è caratterizzata da una fitta vegetazione, una coltre di radici e rovi che lascia intravedere il complesso architettonico dell’ex Framtek, la fabbrica che occupava in passato l’attuale area del PAV, e gli scorci dei palazzi che ancora oggi ne definiscono lo skyline. E’ questo un luogo emerso dalla memoria e dall’ispirazione tratta dall’omonimo titolo del brano indie-rock dei The Cinematic Orchestra (la cui traduzione è: Questo è il posto dove mi sento a casa) che invita lo spettatore sulla scena, nella corte del PAV. Se la corte può essere considerata un palcoscenico dell’osservazione e del fluire, i due artisti affidano alla figura di una bambina il ruolo di colei in grado di riattivare e recuperare la memoria. Si tratta di un personaggio che si muove nel nuovo ambiente con la sicurezza di un’esploratrice curiosa e impavida.<br />Entrare dentro, uscire fuori, queste sono le sfide del Collettivo Oltre Modo, affrontate nel lungo percorso processuale proprio a partire dalla ricerca che i lavori di Viale e botto&bruno hanno suggerito. Un percorso il nostro fatto di esplorazioni, fotografie, disegni e scritture di persone diverse, provenienti da luoghi profondi e segreti, che hanno saputo venire alla luce attraverso l’installazione collettiva visibile a tutti.<br /><br /><br />Orietta Brombin<br />PAV Turinhttp://www.blogger.com/profile/03783231213568284043noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-27903280131069403462014-10-28T11:25:00.000+01:002014-10-28T11:25:32.298+01:00Borgata Mirafiori…l’antico con tocchi di luce contemporanea!La Borgata Mirafiori è nata nel 1600 accanto al Castello dei Savoia, un tempo lungo le sponde del Sangone. Una borgata piccola e tranquilla con una bella chiesa barocca, la Visitazione di Maria Vergine. E qui, dopo 400 anni, la borgata è rimasta incredibilmente intatta mentre tutt’intorno la città si trasformava, dai campi alle fabbriche e alle residenze. Imboccare Strada Comunale di Mirafiori da Strada Castello di Mirafiori vuol dire fare un viaggio nel tempo. Dalla chiesa un piccolo filare di ciliegi, sotto cui sedersi sugli sgabelli a forma di tazzina, ci accoglie e ci introduce alle case più antiche. Il recupero dello spazio pubblico ha eliminato le automobili in sosta sostituendole con grandi vasi che ospitano esemplari di camelie rosa e rosse in fioritura continua anche in inverno. Accanto, un acero giapponese dalle foglie rosso intenso in una piccola piazza con cubetti colorati, accostati con cura alle pavimentazioni tradizionali in ciottoli e ruere di Luserna. Tocchi del passato uniti a una luminosità contemporanea per riportare il cuore della Borgata alle sue origini, ricordandone la storia di negozi e attività di un tempo, come la Sartoria sorelle Cristaude o la Cascina Moriondo, con le transenne blu decorate a fiori. Un borgo tranquillo, con una piccola comunità storicamente insediata come un grazioso paese di campagna. Tre bandiere segnano i tre ingressi: da corso Unione Sovietica dove c’è la Circoscrizione 10; da Via Coggiola, con un piccolo giardino di nandine e mahonie che colorano di rosso e giallo l’uscita verso la città degli anni ’70; dalla Chiesa. E proprio entrando da Strada Castello di Mirafiori, l’arte ci attende a braccia aperte. La luce contemporanea entra, discreta e divertente, sui muri antichi della Borgata. Il lavoro del Collettivo Oltre Modo illumina la piazzetta con il divano e le poltroncine, come un salotto accogliente per tutti: gli artisti, i residenti e i visitatori curiosi che vorranno sedersi qui per ammirare la prima opera…di una lunga serie? <br /><br />Alessandra Aires<br />Architetto, Servizio Urbanizzazioni - Direzione Infrastrutture e Mobilità, Città di TorinoPAV Turinhttp://www.blogger.com/profile/03783231213568284043noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-69780315544651448302014-10-28T11:21:00.001+01:002014-10-28T11:23:10.045+01:00Innesti<i><b>OLTRE MODO </b></i><br />
Intervento murale papier collè in Strada Comunale di Mirafiori 51°, Circoscrizione 10, Torino <br />
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L’intervento urbano che viene inaugurato è stato realizzato in Strada Comunale di Mirafiori il 7 ottobre 2014 e rappresenta solo l’ultima tappa di un percorso sviluppato in più di un anno. <br />
Il progetto è stato realizzato al PAV, a cura di Orietta Brombin, e condotto da Francesca Doro ed Elisabetta Reali, Attività Educative e Formative, con un gruppo di adulti ed educatori dell’ASLTO1, delle Cooperative P. G. Frassati, Zenith e Associazione Il Bandolo Onlus. <br />
Il gruppo di adulti, di cui Luisa Camurati, Daniela Maronetto, Elena Laureri e Rodolfo Pellegrini sono referenti, ha iniziato al PAV il percorso, partito dalla visione delle opere contemporanee esposte, poi continuato con l’esplorazione di molti spazi urbani e terminato col felice incontro con la Circoscrizione 10 inserendosi nel recente piano di riqualificazione della Borgata Mirafiori a cura della progettista Arch. Alessandra Aires e del Geom. Andrea Marchisio del Comune di Torino. <br />
L’Architetto Aires ha favorevolmente accolto la proposta del lavoro corale e ha permesso quindi l’incontro e la collaborazione con i proprietari dei muri, oggetto dell’intervento: le famiglie Oddone e Pistocchi a cui va un ringraziamento particolare.<br />
Siamo pertanto felici di constatare che ancora una volta si è riusciti a creare una forte sinergia tra le istituzioni, i cittadini e le espressioni artistiche che si realizzano a stretto contatto con il territorio.<br />
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Marco Novello<br />
Presidente Circoscrizione 10<br />
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Collettivo OLTRE MODO:<br />Adriano, Alessio, Alfredo, Andrea, Angelo, Ania, Antonella, Antonio, Ariberto, Cinzia, Claudia, Cristina, Daniela, Dario, Elena, Elisabetta, Elvira, Flavia, Francesca, Franco, Giovanna, Giuseppe, Katia, Licia, Luca B., Luca F., Luisa, Maria, Mina, Orietta, Rodolfo, Rosa, Rosalba, Salvatore, Silvana, Tommaso, Tonio.<br /><br />PAV Orietta Brombin, curatore AEF, Francesca Doro ed Elisabetta Reali, educatrici museali AEF; Luisa Camurati, Daniela Maronetto, educatrici Cooperativa Sociale P.G. Frassati; Elena Laureri, Educatrice Cooperativa Sociale Zenith; Cinzia Bugnano, Ania Miska, operatrici ASL TO1; Andrea Ciprelli, fotografo; Salvatore Vada, supporto tecnico; Rodolfo Pellegrini, tutor Associazione Il Bandolo; Rosellina Piterà, responsabile S.S. 9 – 10, ASL TO1; Giampiero De Marzi, direttore F.F S.C. psichiatrica 9 – 10, ASL TO1<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-J_jvt38sDHk/VE9t-oA1nCI/AAAAAAAAAUY/rnem2ZzOg48/s1600/cover_web.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/-J_jvt38sDHk/VE9t-oA1nCI/AAAAAAAAAUY/rnem2ZzOg48/s1600/cover_web.jpg" height="266" width="400" /></a></div>
<br />PAV Turinhttp://www.blogger.com/profile/03783231213568284043noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-90984860813482149102012-07-30T16:09:00.006+02:002013-08-05T17:46:04.194+02:00Da CAMPO URBANO al campo aperto delle complessità dell’Arte PubblicaQuesta breve riflessione prende spunto da alcuni passaggi del comunicato/manifesto di CAMPO URBANO, una collezione dirompente di INTERVENTI ESTETICI NELLA DIMENSIONE COLLETTIVA URBANA, così recitava il suo sottotitolo, che il 21 settembre 1969 coinvolse il centro storico di Como e i suoi cittadini. <br />
CAMPO URBANO con il coordinamento di Luciano Caramel, propose circa 40 interventi autoriali provenienti da discipline e forme espressive molto diverse, tra le quali quelle di Bruno Munari, Ugo La Pietra, Enrico Baj, Gianni Colombo, Gianni Pettena, Dadamaino e Ugo Mulas. Per molti quella giornata rappresenta per il nostro paese, e non solo, un riposizionamento di sguardo e di stato dell’Arte, l’origine di una consapevole presa d’atto di un Principio:
[…] portare l’artista a diretto contatto con la collettività di un centro urbano, con gli spazi in cui essa quotidianamente vive, con le sue abitudini, le sue necessità. E ciò al di fuori di limiti pregiudiziali che ostacolino le possibilità dell’artista di realizzarsi in piena libertà e quindi con la maggiore potenzialità operativa e con gli esiti più fecondi. […] Non si è trattato della consueta commissione di un prodotto già determinato, ma invece dell’invito ad un impegno nella ricerca di un rapporto reale – e quindi vivo e non scontato – tra gli artisti, gli abitanti di una città e la città stessa. Ciò ha portato di conseguenza a porre gli artisti davanti a quesiti fondamentali che investono il senso stesso dell’arte ed il problema della sua funzione oggi: come, ad esempio, quello dei confini delle loro possibilità di risposta alle necessità della collettività; quello delle scelte opportune ad una presenza non marginale o solo decorativa nella società attuale; quello dell’opportunità di adottare soluzioni effimere o “permanenti”, radicali o parziali, eversive o riformistiche. […] saranno in relazione dialettica e talvolta anche in polemica. […] Sostanziale sarà la partecipazione della collettività[…] inevitabilmente coinvolta qualsiasi sarà la sua reazione, dagli interventi degli artisti.*<br />
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<a name='more'></a><br />
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Pur nella loro ingenuità queste parole esercitano ancora un certo fascino, appaiono in parte condivisibili anche se percepiamo la distanza che separa, oggi, l’estemporaneità di quell’esperienza dalla complessità di alcune delle pratiche più mature e attuali dell’Arte Pubblica. Se in linea teorica le ragioni di principio che spingevano allora gli artisti a spostare il proprio dominio d’azione dalle gallerie e dai musei allo spazio aperto della polis sono in certa misura le medesime, ciò che appare evidente nella sua criticità è lo scarto metodologico con il presente dovuto a un impoverimento complessivo dello scenario dei contesti. Se si escludono da queste considerazioni le esperienze più convenzionali d’intervento negli spazi aulici dei centri storici, oggi l’artista, spinto dalla propria ricerca o chiamato a lavorare negli spazi di relazione pubblica della città, è investito da un grado di responsabilità molto superiore, gravato di tutte le contraddizioni sociali provocate proprio dall’impoverimento espressivo che caratterizza lo spazio urbano. Urbanistica e Architettura, le discipline madri del disegno del territorio, sembrano pervase da anni da fortissime contraddizioni. Più di altre discipline accusano l’incapacità di entrare, se non marginalmente, nell’arido dibattito culturale del paese con il risultato di non saper offrire alla collettività modelli virtuosi attraverso i quali produrre la Città. Le città contemporanee, in particolare nel nostro paese, con le loro cieche modalità speculative di espansione e di erosione indiscriminata del suolo agricolo, anche nei casi in cui sono investite da processi di trasformazione del tessuto urbano esistente, stentano a produrre ambienti organici a se stessi in continuità con i valori della tradizione e della storia. Lo spazio pubblico, il bene comune delle Città, risulta più spesso un ambiente connotato da un inespressivo e generico catalogo di segni autoreferenziali. Trasformazioni e inserti ex novo diventano lo specchio di una società non progredita capace di rappresentarsi esclusivamente attraverso modelli ambientali e insediativi molto incerti, già profondamente messi in discussione dalla storia. Ambienti scarsamente confortanti, incapaci di affermarsi come nuove centralità proprio per un certo grado di ostilità che non invita ad attraversarli camminando, così gravati da inspiegabili gerarchie di pertinenze chiuse e aperte verso spazi pubblici troppo spesso disegnati esclusivamente intorno alle necessità delle automobili. Rimandando ad altre occasioni di riflessione la trattazione su quali siano le molte ragioni strutturali di governo del territorio che producono questo desolante scenario, rivolgo l’invito a considerare quale sia il prezioso ruolo che può rivestire l’Arte Pubblica in questa particolare congiuntura della storia. E’ necessario e urgente colmare questa insufficiente portata espressiva degli spazi della vita quotidiana, scenario di tutte le contraddizioni della nostra società, con opere che sappiano superare con sensibile intensità il solo ruolo accessorio e convenzionale di abbellimento. E’ necessario da un lato difendere e promuovere il lavoro di artisti che sappiano tematizzare nel profondo le loro opere in relazione con il contesto, dall’altro costruire intorno alla produzione dell’opera un processo di accompagnamento che sappia preparare il terreno dell’ascolto e del dialogo con il pubblico. Guardare al lavoro dell’artista nella sua dimensione processuale di confronto con tutti gli aspetti della vita del suo contesto d’azione. Dare conto, nella percezione del pubblico, che l’operasia anche la risultante di un graduale avvicinamento condiviso delle attese. Interpretare le complessità dei contesti di relazione della vita sociale può essere compito e responsabilità delle pratiche di Arte Pubblica. In gioco c’è molto di più che l’accettazione dell’opera, ciò che di prezioso può realizzarsi è un movimento collettivo delle coscienze, il consolidarsi di una presa d’atto condivisa del senso di appartenenza e responsabilità verso il bene comune rappresentato dallo spazio pubblico, condizioni essenziali intorno alle quali affermare la natura dei principi all’origine di ogni luogo. <br />
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*<span style="font-size: x-small;"><i>AA. VV. Campo urbano - Interventi estetici nella dimensione collettiva urbana</i>, Editrice Cesare Nani, Como 1969</span><br />
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Maurizio Cilli
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ArtistaAnonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-66578554634566424742012-07-30T16:04:00.000+02:002013-08-05T17:46:16.296+02:00Cambia il vento … è tempo di propositiIl Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea ha allestito una mostra storica delle ricerche di Piero Gilardi dal 1963 al 1985. Il percorso espositivo documenta quei passaggi cruciali nella trasformazione del significato e delle valenze sociali dell’arte alla fine degli anni ’60 in cui si può reperire la radice teorica delle idee fondative dell’odierno progetto “in progress” del Parco Arte Vivente, dalla creatività collettiva alla funzione politica dell’arte.<br />
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<a name='more'></a><br />
Nella mia personale esperienza artistica il cosiddetto rapporto uomo-natura, o più precisamente il rapporto natura-cultura nella sfera antropica, è stato il nucleo problematico della mie elaborazioni teoriche e delle conseguenti ipotesi artistico-culturali fin dall’inizio degli anni ‘60, quando ho condiviso con artisti quali Aldo Mondino e Michelangelo Pistoletto e con scienziati-filosofi, come l’oncologo Carlo Sirtori e il cibernetico Silvio Ceccato, la cosiddetta problematica “naturale-artificiale” riferita alle contraddizioni tra lo sviluppo della società ipertecnologica e la salvaguardia degli assetti ecologici.<br />
Da quegli anni a oggi, attraverso i mutamenti politici, sociali e culturali che si sono susseguiti, la riformulazione della coppia oppositiva “natura-cultura” ci ha gradatamente portato agli esiti odierni del pensiero post-umanistico che offre molteplici percorsi per la soluzione di questa antinomia.<br />
L’elaborazione del pensiero che informa la mia attuale attività artistica nel contesto della Bio Arte e del laboratorio intellettuale del Parco Arte Vivente hanno significativamente contribuito non solo filosofi come Ivan Illich e Gregory Bateson, sociologi come Bruno Latour, epistemologi come Francisco Varela, ma anche genetisti come Luca Cavalli-Sforza e antropologi come Roberto Marchesini.<br />
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<br />
Oggi, il percorso progettuale che sto elaborando per gli anni a venire di questo decennio comprende simultaneamente modalità di azione artistica, orientamenti politici e ipotesi teoriche:<br />
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IL CONTESTO <br />
L’odierna devastante crisi generata dal post capitalismo liberista procede verso un'mplosione.<br />
Si apre quindi lo spazio per la costruzione di una alternativa politica globale, i cui punti di forza sono non soltanto una nuova democrazia ma anche un modello di economia sostenibile e coerente al riequilibrio ecologico. In una prospettiva di lungo periodo, una “civilizzazione ecologica” può costituire la via d’uscita dalla crisi antropologica ed ecosistemica insieme.<br />
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IL PENSIERO<br />
L’orientamento cruciale consiste nel superamento delle antinomie residuali dell’umanesimo - tra umano e non umano, tra società e natura e tra mente e corpo - per sviluppare e generalizzare, attraverso la multiculturalità e la multinaturalità, una visione del mondo costantemente aperta all’ibridazione con l’alterità e agli imprevedibili mutamenti della contingenza storica. Sul piano etico questa visione presuppone il riconoscimento di un valore intrinseco per ogni sistema ecologico, vivente o “inanimato”, l’accettazione della nostra umana vulnerabilità e costituisce lo stimolo a prenderci “cura del mondo, come dice l’antropologa Elena Pulcini.<br />
<br />
L’AZIONE ARTISTICA<br />
L’espressione artistica, relazionale e condivisa a tutti i livelli, analizza nei suoi vari e complessi aspetti il disastro ecologico e i suoi effetti come l’estinzione della biodiversità e il cambiamento climatico; inoltre continua la narrazione del vivente e della sua bellezza, che risiede soprattutto nella sua operatività generativa e interrelata con i processi coevolutivi della biosfera.<br />
L’espressione artistica si pone infine come prefigurazione immaginativa e simbolica di nuove pratiche e modalità di vita, individuali e collettive, ecosostenibili.<br />
L’esempio di questa pratica artistica che mi pare oggi saliente è quello del progetto New Alliance del Critical Art Ensemble, la cui azione consiste nel piantumare specie vegetali in via di estinzione, e quindi protette per legge, in spazi urbani destinati a essere invasi dalla speculazione edilizia e commerciale; un’alleanza tra vegetali ed esseri umani, entrambi precarizzati.<br />
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L’AZIONE POLITICA <br />
Le azioni artistiche con implicita o esplicita valenza politica devono necessariamente essere consustanziali agli obiettivi degli odierni movimenti anticapitalistici globali, se davvero intendono condividere le lotte sociali contro le politiche neoliberiste.<br />
Dal punto di vista della mia esperienza, l’impegno politico dell’artista si sostanzia nel radicamento attivo all’interno dei conflitti sociali in atto, poiché la pratica della denuncia etica e della “testimonianza”, pur svolgendo un ruolo utile di sensibilizzazione, vengono in ultima istanza neutralizzate politicamente; questo per effetto della loro immissione nei sistemi comunicativi e mediatici che ne attuano lo scorporo e la rimozione dalla soggettività politica reale.<br />
Per l’artista, come per il “99”per cento dei cittadini, fare politica nell’attuale fase storica di crisi e svuotamento della democrazia delegata partitocratica, significa partecipare alle pratiche dei movimenti che lottano per la riconquista dei beni comuni – risorse primarie, cultura, ambiente – e della sovranità democratica, nel contesto di una riconversione complessiva ed ecosostenibile del sistema sociale e produttivo.<br />
L’arte con la sua produzione di senso nuovo ha dimostrato di poter corroborare efficacemente il tentativo in atto della costruzione, travagliata e graduale, di una governance alternativa nella crisi della nostra società e del pianeta.<br />
<br />
Piero Gilardi
Direttore Artistico PAVAnonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-83787016230803319162012-07-30T15:53:00.001+02:002013-08-05T17:46:49.505+02:00Un buon cuoco dev'essere un perfetto chirurgo (se non un becchino)<b>I
</b><br />
<br />
-Per i lavori di casa i guanti sono fondamentali, morbidezza e resistenza. Morbidezza per non perdere il contatto con la materia, resistenza per il lavoro<br />
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-E’ arrivato il carico di carne! <br />
-E’ bella? -Sì, molto bella <br />
-E’ coi timbri rossi? <br />
-Sì -Uhm...la migliore <br />
-Un selvatico cinghiale, buono per tutte le marinate più delicate. Due superbi caprioli dallo sguardo dolce, una carne che ha tutti i profumi della foresta. Dieci dozzine di faraone semi selvatiche allevate a grano e ginepro...<br />
<br />
-Tu sai che Bugatti si faceva fare delle scarpe speciali, come un guanto, con il pollice indipendente? -Ma per guidare? <br />
-No, nella vita. Era un artista <br />
-E come si ingrassano i tacchini l’ultimo mese? A cioccolato, noci e cognac <br />
-Senti questa: una buona tazza di cioccolato alle 11 apre lo stomaco per il pranzo. Chi l’ha scritto? -Brillat Savarin <br />
-Ma vaffanculo, sai tutto!<br />
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-Questa sera noi diamo una soirée, e se lei vuole essere nostra ospite noi saremmo molto contenti, non è vero Presidente? <br />
-Io alzo il mio bicchiere, non so a che cosa, ma alzo il mio bicchiere <br />
-Marcello, la signorina maestra è una donna di mondo<br />
<br />
<a name='more'></a><br />
-Buonasera... <br />
-Buonasera signorina! <br />
-Mi sono decisa a accettare l’invito<br />
-Oh è gentile da parte sua. Si troverà in buona compagnia. Ma entri, entri la prego. <br />
Bisogna divertirsi, c’è una lunga strada da fare... La difficoltà del piatto è stabilire il rapporto tra i sapori del vino e il punto di cottura di ogni tipo di fegato il quale, prima, deve avere macerato nello stesso vino in cui verrà cucinato a metà cottura, perché la cottura definitiva si farà dentro una pasta sfoglia<br />
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-Vuole del sanguinaccio? Tu vuoi del sanguinaccio? Qualcuno vuole il mio sanguinaccio? <br />
-Questo era surgelato -E allora? Possiamo noi fermare il progresso?<br />
-Avete gustato il pollame? E adesso passiamo al maiale con la purea di castagne, è uno dei miei vizi... <br />
-Siete grotteschi, grotteschi e disgustosi. Perché mangiate se non avete fame? <br />
-Se escludi il cibo tutto è epifenomeno. La sabbia, la spiaggia, lo sci, l’amore, il lavoro, il tuo letto. Come dice l’Ecclesiaste: Vanitas vanitatum... mangia! E dai mangia troia!<br />
<br />
-Cosa fa qui questo pollo, in un acquario? Lo trova normale lei? <br />
-Vieni in cucina a vedere Ugo, bisogna che smetta di mangiare, vieni <br />
-E’ grande abbastanza per sapere quel che fa. Non ho nessuna influenza su di lui... <br />
-Mangia piccolo Michel, se tu non mangi non puoi morire -Non avete capito niente, non si può morire mangiando! Vieni via dai -No, io rimango -Io vado, ho vomitato tutta la notte. Per i soldi vedi un po’ con Anna... <br />
<br />
-Allora, la mangiamo questa torta, sì o no? Bisogna mangiarla. E’ per te, è molto dolce, e molto buona <br />
-Sei un ingordo, mangi troppo. Hai sempre mangiato troppo!<br />
<br />
-Venite, aiutatemi! E’ una catastrofe! E’ immondo, è spaventoso! E’ mostruoso, non lasciatemi da solo... questa merda mi travolge! L’odore della merda non ci lascerà mai più. Scusa... <br />
-Va meglio? <br />
-Ho freddo, ho freddo... <br />
-Philippe!<br />
-C’è qualcuno? Buongiorno, è la carne. Dove la mettiamo? <br />
-In giardino <br />
-In giardino?! Ma è carne buona sa... -Sì, in giardino, là in fondo. <br />
-Va bene così signorina? La carne in giardino, ahahah...<br />
<br />
<br />
<b>II</b><br />
<br />
-C’ho una fame! <br />
-Pure io... <br />
-Ehi amico, fermati, ridacci il pollo! Se l’è mangiato tutto <br />
-Manco un osso c’ha lasciato<br />
<br />
-Il cielo... <br />
-Eeeh? <br />
-Il cielo... ammazza quanto cielo c’è! <br />
-Non ti gira un po’ la testa? <br />
-Un pochetto <br />
-Pure a me. E’ la debolezza <br />
-Non la debolezza, come si chiama? <br />
-La fiacca <br />
-Eh eh, la fiacca. Vedo tante palline colorate come scintille. Tin tin tin, rosse, gialle, arancioni <br />
-Verdi, azzurre, come luccicano...<br />
<br />
Maestro sia gentile, inviti pure noi. <br />
-Ora mi metto pure a invitare? <br />
-Ma noi abbiamo fame. Ci faccia mangiare, abbiamo fame. Ci inviti maestro <br />
-Ma vestiti così? Eh via...abbiate pazienza questi hanno occhio. E poi come vi invito? Io non pago mica il conto. Io mangio, bevo e poi... faccio il vento <br />
-Lo facciamo in tre il vento<br />
<br />
-I signori gradiscono? <br />
-Un chilo di spaghetti! <br />
-A me come lui, un chilo di pastasciutta <br />
-Come la volete la pasta? <br />
-Subito! Mettiti una mano sulla coscienza, il formaggio, l’olio, il burro...<br />
<br />
-Abbiamo rivomitato tutto! <br />
-Tanto lavoro per niente. Come mi rode! <br />
-La prima volta che avevo fatto una bella mangiata. Siamo stati sazi appena due minuti <br />
-Essì, tutta quella roba, due minuti... non ha fatto nenche in tempo a arrivare nella pancia <br />
-Fame, freddo, sonno. Fa bene andare a letto digiuni<br />
<br />
Toscana, terra di bistecche alla fiorentina, carne alla griglia, spiedini di salsicce, tutta roba alla brace... Toscana... certe tagliatelle fine, fine, fine, quasi non si vedono! <br />
-Andiamo per le campagne perché ci sono cose genuine: cavalli, pecore, vacche, mucche, puledri, ossi buchi... <br />
-Maestro quanto manca? <br />
-Due chilometri <br />
-Coraggio, ancora due chilometri di fame<br />
<br />
-Minestra, minestra... odore di minestra <br />
-Maestro? <br />
-Shh, minestra... è là! <br />
-Ma è vero, la minestra! <br />
-Fermi! La nostra minestra!!! Ladri, ammazziamoli subito! <br />
-Ma che siete matte, per un piatto di minestra? Noi passavamo di qui, abbiamo sentito l’odore e... che ne sapevamo? <br />
-Non abbiamo fatto niente, non l’abbiamo neanche assaggiata<br />
-Al palo, al palo! <br />
-Ma chi l’ha toccata... <br />
-Strappiamogli le unghie! <br />
-Diamogli fuoco! <br />
-No, sotterriamoli con la testa fuori, li facciamo mangiare dalle formiche <br />
-Signore operaie, per un po’ di minestra, era pure sciapa <br />
-Lasciamoli qui legati<br />
<br />
-Ehi tu, scioglici! <br />
-Via svelti, se no ci riacchiappano <br />
-Grazie! -Scusate ho fretta, devo andare a lavorare, faccio il cameriere. In un ristorante dove il mangiare si spreca, ce n’è a volontà <br />
-Aspetta, aspetta, dove sta sto ristorante? <br />
-Ma davvero c’è tutta sta roba che dici? <br />
-Tutto, tutto, dalla A alla Z, tutta roba fresca che viene dall’estero, carni, formaggi, funghi, funghi grossi come ombrelli, frutti di mare freschi, freschissimi, pesce che ancora si muove, antipasti che... <br />
-Che è un peccato a mangiarli <br />
-Esatto! <br />
-E quanto manca? <br />
-Laggiù, dietro al cimitero... <br />
-Basta che ci dai da mangiar qualcosa però, perché io mi son stufato di stare sempre lì a dire che ho fame... <br />
-Una volta ai morti gli portavano le scodelle con le vivande, la frutta, ci tenevano <br />
-Bella usanza, una volta mangiavano pure i morti <br />
-Adesso non si mangia neanche da vivi... <br />
-Hai fame, eh? <br />
-Come te ne sei accorto, si vede? <br />
-La fame si sente, non si vede. E’ come un’altalena invisibile, va e viene, va e viene <br />
-Scusate ma state parlando con un esperto, non sono d’accordo. La fame è come una malattia, viene e non se ne va più. La fame è come l’anima, che ci lascia dopo morti<br />
<br />
<br />
<span style="font-size: x-small;"><b>I </b><i>La grande abbuffata</i>, di Marco Ferreri, con Ugo Tognazzi, Michel Piccoli, Marcello Mastroianni, Philippe Noiret, Andréa Ferréol - 1973<br /><br /><b>II</b> <i>Il Minestrone</i>, di Sergio Citti, con Franco Citti, Ninetto Davoli, Roberto Benigni - 1981</span><br />
<br />
<br />
<br />
Norma Jeane<br />
ArtistaAnonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-54275143832211239462012-07-30T15:37:00.002+02:002012-07-30T15:40:46.739+02:00Al fuoco, al fuoco!Da tempo casa è il villaggio globale. O la sua illusione. E la lingua comune per illuderci è l’inglese. L’inglese chiama home il luogo attorno cui si scaldano gli affetti famigliari.<br />
Dentro a cui si agitano passioni, rancori, legami. Molto più che la semplice house, di cui si occupa soprattutto il mercato immobiliare. Ancora più calda è la questione della Heimat tedesca, e di cosa si è portata dietro nei traslochi da un’accezione all’altra, i prodromi del Terzo annidati al tempo del Secondo Reich. Ma anche nell’italiano di un’Italia senza imperi, la casa, quest’idea di casa, brucia. E già bruciava nei vecchi documenti della chiesa di tutti o dei signori di qualcuno, dove si scriveva fuochi per contare i nuclei familiari presenti nei villaggi. Per contare famiglie e case: focolari di storia e storie, che bruciando modellano la nostra memoria. Questi temi sono molto cari ad Antonella Tarpino, editor Einaudi, che se ne è occupata, tra gli altri, in Geografie della memoria. Case, rovine, oggetti quotidiani (Einaudi 2008), Il paese che non c’è (Communitas, 57, dicembre 2011) – di cui è stata curatrice con Vito Teti – e Spaesati. Luoghi dell’Italia in abbandono tra memoria e futuro, di prossima uscita.<br />
<br />
<a name='more'></a><br />
<b>Antonella_</b> Nella sua metamorfosi, la memoria contemporanea appare sempre più estenuata, ma insieme incontinente: si ritrae dai sacrari convenzionali dello spazio pubblico (i monumenti, i lapidari con tanto di targhe al centro delle piazze cittadine) per privilegiare gli scenari più intimi, la vita quotidiana. E in questo rimescolarsi delle immagini del passato, la casa finisce per costituire il raccordo simbolico fra memoria e durata.<br />
<br />
<b>Marco_</b> In questa accezione, la casa prende più la forma senza corpo del tempo che passa, o di un custode dei segni materiali che gli uomini lasciano dietro di sé?
<br />
<br />
<b>A_</b> La memoria, fin dalle sue origini mitiche come tecnica oratoria, si trasmette attraverso immagini impalpabili ma rimane scolpita anche nella pietra: il richiamo primordiale va alle case-grotte dei villaggi rupestri del Mediterraneo, espressione di un’antichissima cultura agropastorale che eremiti e contadini abitarono per millenni. Case reali, in senso stretto, e allo stesso tempo case della mente: seguendo itinerari mobili, ai confini tra storia, letteratura, urbanistica, le antiche dimore divengono <br />
anche i luoghi della trasfigurazione letteraria nella memoria romantica (il castello di Combourg per Chateaubriand) come in quella d’ispirazione vittoriana (gli amati cottages cari a Henry James e a Edward Forster) in cui si celebrano le virtù dell’intimità borghese.
<br />
<br />
<b>M_</b> La civiltà borghese e la sfera domestica: l’Occidente ha prima visto l’ascesa di una società basata sulla famiglia patriarcale e nucleare, quindi la sua crisi nel secondo dopoguerra del secolo scorso. Questo grumo di conflitti e affetti è ormai sciolto?<br />
<br />
<b> A_</b> Ancora oggi la casa finisce per costituire, nello sguardo disorientato del presente, il simbolo di un’inedita “geografia della sicurezza”. In essa, pensieri e immagini, all’insegna delle ragioni della stabilità o delle sue illusioni, si integrano armoniosamente. La casa è il primo mondo dell’essere umano, per questo replica all’infinito stimoli di protezione fornendo alla memoria uno spazio consolatorio, fisicamente posseduto. Lo spazio “felice” circoscritto dal perimetro domestico è il solo, infatti, in cui si ha la certezza di esistere, al contrario dello spazio “indifferente” o “ostile” dell’esterno, scavato progressivamente dai varchi dell’incertezza e della perdita. D’altra parte, la casa è da sempre una figura ambivalente. Composto perturbante (domestico e insieme inospitale nel romanzo gotico), la casa può conservare, tra i resti delle sue mura, i segni più duri della violenza privata o della guerra, così come della frattura dell’avventura industriale, stratificata nelle periferie delle nostre città.<br />
<br />
<b>M_</b> Was bleibt, allora, a tenere insieme il tempo di oggi con quello di ieri e dargli senso?<br />
<br />
<b>A_</b> Dalle antiche dimore, alle rovine di guerra, dalle cascine fino ai caseggiati di periferia: ciò che sopravvive nelle vecchie case è la traccia persistente di quel legame sempre più incerto tra il passato e il presente, che solo l’evocazione dei simboli universali dell’esistenza tiene in vita. Sono gli edifici e gli oggetti quotidiani che, quasi proiezioni del nostro corpo, preservano la memoria quotidiana nel tempo, ne comunicano le emozioni in profondità, accendendo il ricordo, il “fuoco” delle cose che ci uniscono agli uomini del passato, più dei simboli appannati della memoria tradizionale.<br />
<br />
<b>M_</b> Quali sono le modalità materiali, i gesti, che nella nostra vita quotidiana ci permettono di non recidere il contatto con cosa è stato e non è più?<br />
<br />
<b>A_ </b>Il verbo “abitare”: non abitano forse le immagini della memoria i recessi più profondi della mente? Abitano o, secondo un’espressione più aulica, “dimorano”: evocando sia il concetto di dimora che di permanenza, il termine sovrappone l’idea di luogo all’idea, ancora una volta, di durata.<br />
<br />
<b>M_</b> Abitare, allora, può essere un atto di resistenza?<br />
<br />
<b>A_</b> È proprio questa la particolarità delle case: sono residui di un tempo denso di valore proprio perché sedimentato in controtendenza, “resistente” si potrebbe dire, al suo puro fluire. E, insieme, custodi come sono di esistenze che precedono o seguono la vita del singolo, le case divengono testimoni dei duplici movimenti, in avanti e all’indietro, del tempo e dello spazio. Il primo, tra passato e presente. Il secondo, tra dentro e fuori. La casa resta, infatti, sospesa tra gli ambienti protetti dello spazio interno e i perimetri affacciati su quello esterno. Alle camere più riposte, adibite alla vita privata, sono di contrappunto le aperture sulla strada, porte, finestre, balconi, inclini agli scambi e alle relazioni.<br />
<br />
<b>M_</b> C’è un punctum, attorno al quale tutte queste forze diverse possano trovare equilibrio?<br />
<br />
<b>A_</b> Casa e memoria possono fondersi in un’unica figura, nell’immagine del “ritorno”. Come si torna fra le mura rassicuranti della casa, così anche la memoria è un tornare-a, uno scrollarsi di dosso tutte le “assenze”: è la conquista di quello stato di sospensione in cui, nel risalire alle origini, trova alimento il ricordo. La casa diviene, lungo questo percorso, figura dell’anima.<br />
<br />
<b>M_</b> Una sorta di arca quindi, alla quale affidare i nostri mondi privati e insieme pubblici?<br />
<br />
<b>A_</b> Esatto. La casa è l’arca che ci contiene ed entra “in noi come noi siamo in essa”. Tra le pareti domestiche si deposita la nostra vita, fatta di eventi biologici e di emozioni: è l’interno che si confonde ai nostri gesti e ripete all’infinito le strategie del vivere. Gli oggetti che vi si raccolgono sono parte di noi e ci riflettono: sono proiezioni di paure il celarsi fra tendaggi opprimenti, o di desideri l’esibizione vistosa di argenti e preziosi. La casa è la figura di uno spazio di possesso, su cui, come su un calco, i rituali del corpo e della mente si riproducono instancabilmente. La si porta con sé, anche quando non c’è più, perché una parte di noi vi continua ad aderire: nei recessi più profondi di una memoria che è tutt’uno con la vita.<br />
<br />
<b>M_</b> E per questo, il ritorno a essa è un fuoco che non cessa. Un fuoco bello.<br />
<br />
<br />
Marco Magnone <br />
Laboratorio editografico PANGRAMMAAnonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-56216921577888312302012-04-02T17:46:00.005+02:002013-08-05T17:47:43.821+02:00L’idea dell’ucronia<div style="color: #444444; font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
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</style><span style="font-size: small;">C’è un che di nostalgico nella poetica di <b>Etienne de France</b> (Parigi, 1984; vive a Reykjavik).</span><span style="font-size: small;"><br />
Il suo lavoro non ha a che fare solo con la scrittura e il documentario storico-scientifico – nel caso specifico della mostra <i>Tales Of a Sea Cow</i> al PAV attraverso la sceneggiatura del film omonimo – ma riguarda anche un modo di trattare la materia narrativa, piegando e dispiegando lo spazio-tempo.<br />
</span></div>
<a name='more'></a><div style="color: #444444; font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<span style="font-size: small;">
Lo scenario in cui il racconto prende forma - o i racconti, per seguire il titolo scelto da de France – coincide con i paesaggi della Groenlandia e dell’Islanda. Sullo sfondo di queste fredde acque si alternano ricordi di pescatori del luogo, desideri e aspirazioni di due giovani biologi alla ricerca dei canti di animali considerati estinti, e la voce narrante che guida lo spettatore in una sorta di scatola cinese percettivamente spiazzante, dove ad uno sguardo ne corrisponde un secondo nascosto, un terzo e così via…</span></div>
<div style="color: #444444; font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"> A prima vista siamo fuori dalla metafora, poiché tutto sembra accadere davanti ai nostri occhi e in luoghi geograficamente reali, ma al tempo stesso si è anche paradossalmente dentro a tutte le metafore credibili. A metà strada tra realtà e fiction, dove i confini dell’una si confondono nell’altra – con la difficoltà che ne consegue nel comprendere in quale delle due dimensioni siamo condotti dall’occhio dell’artista-regista – <i>Tales Of a Sea Cow</i></span><span class="hps" style="font-size: small;"> analizza la storia, o fantastoria, della mucca di mare di Steller. Si tratta</span><span style="font-size: small;"> di un <span class="hps">grande</span> <span class="hps">mammifero marino della famiglia dei Dugongidi</span> <span class="hpsatn">(</span><i>Hydrodamalis <span class="hps">gigas</span></i><span class="hps">)</span>, <span class="hps">che viveva</span> <span class="hps">nelle acque dell'Artico</span> <span class="hps">vicino all'Isola di</span> <span class="hps">Bering e la cui scoperta risale al 1741 grazie all’avvistamento del naturalista Georg</span> <span class="hps">Wilhelm</span> <span class="hps">Steller, di cui infatti la ritina porta il nome. In meno di 30 anni </span></span><span style="font-size: small;">questi innocui mammiferi, s</span><span class="hps" style="font-size: small;">imili a sirenidi ma diversi da foche</span><span style="font-size: small;"> e trichechi, furono massacrati per la carne e l’utilizzo del grasso, fino all’uccisione dell’ultimo esemplare nel 1768.</span></div>
<div style="color: #444444; font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"> Ispirandosi agli esperimenti di decodifica dei canti delle megattere, Etienne de France immagina di poter applicare un tale sistema anche alle mucche di mare di Steller. Sviluppando le ricerche, traducendo <i>in primis</i> i vocalizzi in rappresentazioni grafiche attraverso un dispositivo interattivo e un’installazione sonora, e azzardando in seguito l’ipotesi che la trascrizione dei suoni animali sia in realtà un immenso database di informazioni sul comportamento dell’uomo, l’artista apre un imprevisto orizzonte di riflessione e possibilità.</span></div>
<div style="color: #444444; font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Si dice che la storia non si faccia con i “se”, ma è quasi scontato chiedersi perché la storia di una popolazione animale, e non solo umana, sia andata in un certo modo e non in un altro. La frequenza e il peso di quei “se” possono infatti determinare il carattere e il destino di una popolazione come quello di un singolo individuo. E anche la storia che non c’è stata, ossia la storia probabile oggi comunemente definita “storia controfattuale”<a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=7957919493170663273#_ftn1" name="_ftnref" title=""><span class="MsoFootnoteReference">[1]</span></a>, assume un valore indicativo. Per definire questo atteggiamento e questa storia “altra”, il filosofo francese Charles Renouvier alla metà dell’Ottocento coniò il termine <i>uchronie</i>.<a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=7957919493170663273#_ftn2" name="_ftnref" title=""><span class="MsoFootnoteReference">[2]</span></a></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: #444444; font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify; text-indent: 1cm;">
<span style="font-size: small;"> </span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: #444444; font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;">
<span style="font-size: small;">L’U-cronia, che letteralmente significa <i>senza tempo</i> così come U-topia vuol dire <i>senza luogo</i>, sviluppa le potenzialità, implicite ma non evidenti a una prima lettura, nel racconto della Storia. Introducendo una situazione non reale ma certamente immaginabile, vale a dire una storia alternativa o allostoria, il lavoro di de France – che al PAV include a corollario del film anche i</span><span style="font-size: small;">drofoni, plastici, reperti fossili ricostruiti e cartografie a testimonianza della ricerca scientifica – ci fornisce un esempio di narrazione poetica sull’antropomorfismo, cioè su come l’uomo comprende, interpreta, trasforma e modifica secondo i propri bisogni la natura. Allora <i>Tales of a Sea Cow</i> diventa un racconto nostalgico, perché pone dei bivi possibili sul passato di una storia che non potremmo mai vivere. Ma la nostalgia non è come la speranza e l’aspettativa, tutte orientate al futuro, e nemmeno come la rinuncia e l’abbandono, fermi sul passato. La nostalgia osserva il passato, esamina il presente e guarda il futuro in un gioco di cortocircuiti esistenziali che spezzano il tempo e lo spazio.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<div style="color: #444444;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div style="color: #444444;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div style="color: #444444;">
<span style="font-size: small;">Claudio Cravero</span></div>
<span style="font-size: small;"><br />
</span><br />
<hr align="left" size="1" width="33%" />
<div id="ftn">
<div class="MsoFootnoteText">
<span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=7957919493170663273#_ftnref" name="_ftn1" title=""><span class="MsoFootnoteReference">[1]</span></a></span><span style="font-size: small;"> Corrado Augias, <i>Il Disagio della libertà</i>, Ed. Rizzoli, Milano, 2012, p. 38</span></div>
</div>
<div id="ftn">
<div class="MsoFootnoteText">
<span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=7957919493170663273#_ftnref" name="_ftn2" title=""><span class="MsoFootnoteReference">[2]</span></a></span><span style="font-size: small;"> <i>Ibidem</i></span></div>
</div>
</div>
Anonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-36197899621966254742012-04-02T17:37:00.003+02:002013-08-05T17:47:49.899+02:00Dall’inerzia al flusso<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">«Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura»</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">(Giacomo Leopardi, L'Infinito, vv.4-8)</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">
</span></div>
<a name='more'></a><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Mentre da ogni dove si implora sobrietà e l’austerity è vocata panacea a tutti i mali, quale antidoto alla crisi sistemica che imperversa ormai da (troppo) tempo, il PAV - centro d’arte contemporanea e “palestra di pensiero” - attraverso una serie di incontri aperti allo scambio e alla germinazione di idee, si interroga sulla trasformazione della società contemporanea, cercando di individuare sul piano storico l’inizio della crisi e tentando di fornire risposte concrete per un suo superamento. </span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Come orientarsi all’interno di un processo di crisi che non è soltanto economica ma anche - se non addirittura antropologica - causa di una metamorfosi delle forme elementari della relazionalità, del comportamento e della produzione di senso?</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Un apporto notevole al tema è dato dal noto sociologo <b>Marco Revelli</b>, che al PAV sviluppa una riflessione sulle interrelazioni tra crisi ambientale e crisi di civiltà, partendo da <b>un excursus storico che dagli anni ’80 giunge ai drammatici effetti dell’oggi</b>.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Emergono corrispondenze tra la scelta di logiche neoliberiste e il disastro ambientale, così come tra gli assetti sociali attuali e il fenomeno della mercificazione della natura e lo svuotamento dei valori umani con la correlata “perdita del senso”. </span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">La crisi – afferma Revelli – ha un orizzonte di inquadramento molto ampio, quella cui oggi assistiamo è solo la fase finale di un processo iniziato da tempo.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">E’ il ‘900 – secolo “breve” ma denso – che segna questo processo di crisi delle forme di senso che la cultura occidentale si era data, di cui la grave situazione che imperversa in Grecia rappresenta un aspetto simbolico. Si tratta di un <i>matricidio</i>, del soffocamento di quello che è stato il punto di partenza per il lungo cammino di civilizzazione dell’Occidente, da cui si sono generate le categorie del senso e che oggi attraverso la finanza viene condannata a morte.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Un’impalcatura che è incominciata ad entrare in crisi con la Prima guerra mondiale, con Aushwitz, con Hiroshima: eventi che hanno cancellato la possibilità di una narrazione. </span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Se il racconto è il tentativo di ricapitolazione di senso, attraverso cui l'uomo conferisce significato al proprio esperire, traccia le coordinate interpretative di azioni e situazioni, e sulle quali costruisce forme di conoscenza, allora il Novecento è il secolo dell’afasia della narrazione, il secolo in cui si delinea quella che Günther Anders chiamò «discrepanza», ovvero la sproporzione tra gli atti umani e le conseguenze che queste producono.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Ed è lì che, in qualche misura, la dimensione antropologica ha incominciato a decostruirsi impennandosi nell’ultimo trentennio in una accelerazione che ha generato una mutazione genetica del DNA collettivo e la conseguente affermazione di un nuovo <i>type humain</i>.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">A partire dagli anni ’80, con il processo di deindustrializzazione e i primi esempi di globalizzazione via delocalizzazione, si assiste al passaggio dalla centralità del produttore alla centralità del consumatore, che con la sua disponibilità a spendere fa crescere la società diventando il nuovo “eroe sociale”. </span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">La disponibilità al consumo costituisce di per sé la ricchezza delle nazioni, che non sta più nel lavoro ma nell’ utilizzo. </span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Ne consegue una inevitabile crisi antropologica segnata dal passaggio dall’<i>Homo faber</i> - cioè da un’antropologia fatta di disciplina, dimensione collettiva, risparmio, abilità tecnica, <i>saper fare</i> - all’<i>Homo consumens</i> e ad un antropologia del consumatore. Un nuovo tipo umano per dimensione esistenziale e modalità relazionali, per il <b>rapporto</b> cioè <b>che stabilisce con sé stesso, coi propri simili e con l’ambiente</b>.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">L’autore che con più chiarezza ha messo l’accento sul salto antropologico che si è consumato con questa totalizzazione della categoria del consumo – sottolinea Revelli – è Zygmut Bauman.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">La modernità “liquida” di cui parla Bauman, ovvero la fase in cui la modernità inizia a decostruire se stessa e la cultura occidentale ad erodere le proprie categorie, è caratterizzata dalla centralità dell’agire di consumo piuttosto che dall’agire di lavoro e dall’affermarsi della figura del consumatore. </span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Diverso per senso morale e sistemi di valori, l’<i>Homo consumens</i> è un uomo il cui tratto distintivo è l’onnivorismo, l’insaziabilità conseguente all’“eccesso di una occasione di scelta” che lo condanna a una infelicità perenne e, a sua volta, condanna la società a un costante stato di disagio.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Viviamo in un’economia che, per svilupparsi, ha bisogno di far crescere esponenzialmente il consumo e che ha prodotto un «uomo funzionale» al raggiungimento di questo obiettivo.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Molto più di quanto abbia fatto il fordismo – tematica di studio tra le più care a Revelli – in cui l’eterogeneità dei corpi veniva uniformata nei nastri trasportatori della catena, il consumismo si appropria della socialità del tempo di vita che, in una logica consumistica, viene funzionalizzato allo sviluppo e trasformato in forza produttiva; il tempo di produzione si identifica allora con il sistema complessivo delle emozioni, dei sentimenti, con il tempo (non più libero) di natura, nel suo senso più esteso, nel suo ambiente. Non più contesto ma strumento.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Laddove ha fallito il capitalismo sembra essere riuscito il consumismo.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">L’assolutizzazione della <b>forma d’inerzia</b>, la dimensione totale e totalizzante della mercificazione che era implicita nel DNA del capitalismo, giunge solo ora a occupare monopolisticamente l’immaginario collettivo del tempo e dello spazio sociale.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">L’inerzia si configura come unica risposta possibile al delicato rapporto tra identità individuale e identità sociale.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Va da sé che in un clima di irrisolutezza generale, dove il modello politico dell’azione collettiva è saltato, dove gli equilibri sono precari e il consumo accelerato di prodotti e servizi - con la conseguente incessante produzione di ‘falsi bisogni’ - provoca il prevalere della sfera privata sulla collettività, si ha la perdita dell’idea di bene comune, <b>la perdita del controllo sulla vita, sul bios, sull’ambiente, sugli spazi dell’espressione</b>. </span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Ritroviamo quanto rilevato e rivelato così chiaramente da Revelli nelle parole visionarie di Vito Acconci, tra gli artisti che per primi avvertirono la necessità di riappropriarsi di un tempo e di uno spazio, del silenzio, della riflessione, della relazione, dell’ascolto.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">« <i>Un tempo si poteva camminare per le strade di una città e sapere che ora era. C’era un orologio in ogni negozio; bastava soltanto guardare attraverso le vetrine mentre si passava. […] Ma i tempi cambiarono e il tempo sparì. […]. Non c’era più bisogno di mettere il tempo in quello spazio dove eravamo, dal momento che portavamo con noi il nostro tempo. Il tempo pubblico era morto; non esisteva più un tempo per lo spazio pubblico; anche lo spazio pubblico era destinato a sparire</i> » (Vito Acconci, <i>Lo spazio pubblico in un tempo privato</i>, 1990)</span><style>
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<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Nei «tempi moderni», dove la comunicazione è puro feticcio, si predilige l’esternazione al contenuto</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">mentre la sfera pubblica viene fagocitata dalla sfera mediatica: i social network creano una socialità virtuale, in cui le relazioni, la condivisione, le connessioni sono <i>postate</i> e anche la <i>community</i> è precaria. </span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Come uscire dallo stato di inerzia e attivare dinamiche di trasformazione per riappropriarsi dello spazio, ambientale e sociale, del tempo naturale e per costruire occasioni di relazionalità non mediata dalla merce, ridisegnando un’antropologia altra, umana, diversa? </span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Quale ruolo possiamo auspicare abbia l’arte nel fornire una lettura della realtà capace di generare una moltiplicazione di pensiero e coinvolgere strati di popolazione sempre più vasti nel processo attivo di uscita dalla crisi e di creazione di un’alternativa? </span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Per una dinamica della trasformazione del reale, dove a ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria, l’arte avrà il compito di restituire il senso della spinta che l’ha generata, dando vita a un flusso continuo che permetta di uscire dalla stato di inerzia.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">E’ l’attitudine che si riscontra nella pratica di quegli artisti che, con la loro operatività, compiono una fortissima azione politica, costruiscono una consapevolezza pubblica e lavorano sull’alternativa elaborando modelli di universi possibili: nuovi processi percettivi, sperimentali e partecipativi.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">L’arte, calata nel vivo del tessuto sociale e ambientale, legge la complessità e trova <b>nel limite la possibilità</b>, rispondendo alle esigenze del presente con modelli alternativi a quelli esistenti, originando quel continuo passaggio tra stato di caos e struttura d’ordine che è la trasformazione.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">L’opera d’arte diventa azione, gesto responsabile per la produzione di senso, di una coscienza collettiva, per una rinnovata semiotica del paesaggio.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Così, per citare esperienze recenti che al PAV hanno trovato occasione di proporsi, <b>Etienne de France</b>, sulle tracce della <i>sea cow</i>, indaga la biodiversità attraverso l’immaginario, trasponendo il senso di una relazione complessa, quella tra uomo e natura, da storia personale a <i>sentire comune</i>. Altra via è quella del <b>CAE – Critical Art Ensemble</b>, che reinventa invece la precarietà individuando un’inaspettata alleanza uomo-natura, capace di tradurre la crisi, la “precarietà ecologica”, nel fermento di inesplorate possibilità.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><i>E mi sovvien l'eterno...</i></span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; font-size: small;">Stefania Crobe </span><i><br />
</i></span>Anonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-90925287308593329222012-04-02T17:19:00.002+02:002013-08-05T17:47:59.783+02:00Mappa Mundi<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">“Vivere, viaggiare, scrivere. Forse oggi la narrativa più autentica è quella che racconta non attraverso la pura invenzione e finzione, bensì attraverso la presa diretta dei fatti, delle cose, di quelle trasformazioni folli e vertiginose che, come dice Kapuscinski, impediscono di cogliere il mondo nella sua totalità e di offrirne una sintesi, consentendo di afferrarne, come un reporter nel caos della battaglia, solo dei frammenti. Egli stesso del resto crea una vitalissima letteratura tuffandosi nella realtà, raffigurandola con rigorosa precisione, afferrando come un cane da caccia i suoi dettagli rivelatori anche più fuggevoli, e componendo il tutto in un quadro, fedele e insieme reinventato, che è il ritratto del mondo e del viaggio attraverso il mondo.”</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">
</span></div>
<a name='more'></a><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Così Claudio Magris nella prefazione de <i>L’infinito Viaggiare </i>(Mondadori, Milano 2005). Ma quel <i>quadro</i>, quel <i>ritratto del mondo, fedele e insieme reinventato</i>, cos’altro è se non una mappa? Mappa: che cos’è poi, una mappa? Il dizionario fornisce due diverse accezioni. La prima definisce la mappa come “rappresentazione grafica di una zona di terreno, a grande scala e molto dettagliata”. La seconda invece, dice che è, “in una chiave, la parte piatta che s’infila nella toppa e fa funzionare la serratura”. Barriere che si oltrepassano, mondi che si aprono, meccanismi che si innescano. In una mappa, come nella scrittura: strumenti naturali per reinventare mondi e modi per attraversarli. Perché in fondo, ogni lettore, quando legge, cos’altro fa, se non immergersi nel mondo di un testo, tastarne il cuore e le periferie, attraversarlo in modo privato e irripetibile lungo i diversi rivoli, per poi uscirne, come il viaggiatore da un viaggio? La mappa e il testo sono le tradizionali modalità con cui affrontare esperienze di questo tipo. Con le loro diverse declinazioni, dall’esotico al quotidiano, dal mare di nebbia del <i>wanderer</i> romantico, a quello di ferro e cemento del <i>flaneur</i> metropolitano. La città, che da quando si è fatta metropoli, in un giovane e ancora innocente Novecento, ha presto guadagnato la ribalta negli orizzonti spaziali e letterari dell’uomo. Città: luogo di parole e segni, organizzazione dello spazio nel tempo, fuori e dentro la pagina. Già Joyce, moderno Omero della sua Dublino e perfetto erede di poeta nella tradizione gaelica quale “principale conoscitore della scienza geografica”, ribadiva come la rappresentazione in mutazione costante dello spazio fosse uno dei fondamenti della propria scrittura. Tanto che il padre era solito ripetere che se il figlio fosse finito in mezzo al Sahara da un momento all’altro, non avrebbe fatto altro che sedersi e fare una mappa. Ecco, una mappa. Ma oggi che cos’è una mappa e cosa si muove all’orizzonte? Alessandro Grella, ricercatore in Information and Communication Technologies nell'ambito della pianificazione territoriale e dei processi partecipativi e lecturer presso la St. John International University, fa un quadro della situazione:</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">- <b>Che cos’è oggi una mappa?</b></span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">La mappa è sempre stata uno strumento per rappresentare un territorio, indipendentemente dalla tecnica, il supporto, il linguaggio. Nel tempo però sono cambiati i fruitori. Oggi le mappe vengono utilizzate soprattutto da addetti ai lavori, per leggere il territorio e analizzarlo, estraendo e incrociando le informazioni e i dati più diversi: storici, demografici, sociali, ecologici, economici, fisico-geografici. Per tutti gli altri utenti, la mappa, nell’accezione classica del termine, è diventata soprattutto una quinta: quella da cui emergono punti di interesse o destinazioni turistiche, tanto su supporti cartacei, quanto digitali.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">- <b>Che cosa si mappa? </b></span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Oggi forse il viaggiatore globale, quello “estremo”, utilizza ancora le mappe in modo classico, per orientarsi sul territorio, magari con un GPS. Ma si tratta di una nicchia piccolissima, alla ricerca di un esotismo sempre più in declino. In grande ascesa è invece la mappa come strumento per la pianificazione o il governo di una città, una provincia o regione.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">- <b>Quali sono le coordinate di una mappa? </b></span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Se un tempo erano solo quelle geografiche, oggi il georiferimento è ancora necessario, ma non più sufficiente. La stessa accezione semantica di coordinata si è allargata, diventando funzionale a qualcos’altro. Per esempio oggi si parla di coordinate sociali, economiche, storiche o politiche. Una mappa si può vedere come un imbuto, una matrice, attraverso cui convogliare tutta una serie di dati e ricavarne una rappresentazione della realtà. La verosimiglianza dipende dalle variabili considerate e dagli obiettivi iniziali: ogni mappa è un mondo, che si imposta da zero, come un libro.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">- <b>C’è una qualche relazione tra le mappe e il tempo? </b></span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">C’è sempre stato un rapporto particolare, in quanto a distanza corrisponde tempo. Ma non è un qualcosa di neutro: il tempo cambia chi attraversa un territorio. E nello stesso tempo, il territorio è cambiato da chi lo attraversa. Oggi sono sempre più diffuse le mappe dinamiche, navigabili a livello spazio-temporale: per esempio una stessa mappa può prima mostrare il grado di inquinamento di un dato territorio in un certo anno, e poi in un altro, per evidenziare le variazioni.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">- <b>Le mappe di domani, che cosa saranno? </b></span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Diversi ricercatori stanno provando a sviluppare un motore di ricerca geografico globale, in grado di ordinare i contenuti del web non più con criteri semantici ma geografici. Vorrebbe dire riuscire a creare un’unica ipermappa, che raccolga informazioni da tutte le piattaforme con contenuti georeferenziati. Già oggi la maggior parte dei contenuti postati sui diversi social network ha un georiferimento, tuttavia manca un luogo dove mettere a sistema tutte queste informazioni. In gioco c’è il controllo del territorio in tempo reale: qualcosa le cui conseguenze ora sono difficili da immaginare, ma che potrebbe non essere meno rivoluzionario della prima mappa. O del primo libro.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Marco Magnone</span></div>
Anonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-64046731650184111662012-04-02T16:00:00.006+02:002013-08-05T17:48:09.499+02:00Internaturalità<style>
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</style> <br />
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">La prossima mostra di Etienne de France che verrà allestita al PAV propone una stimolante serie di riflessioni teoriche che inferiscono sulla grande mutazione culturale che stiamo attraversando - una sorta di odierna rivoluzione copernicana - sollecitata dalla necessità di superare e risolvere sia la crisi ecologica che la crisi antropologica.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Il racconto di Etienne de France si snoda tra realtà e finzione nel costruire la storia della <i>Ritina di Steller</i> - la cosiddetta mucca di mare - che si è estinta all'incirca alla fine del XVIII secolo.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">
</span></div>
<a name='more'></a><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Il dipanarsi stesso del racconto, attraverso carte geografiche, fotografie dell'ambiente nordico, ricostruzioni della struttura anatomica, ma sopratutto del canto sottomarino dell’animale, costituisce il prologo di una metafora artistica che esprime il desiderio di sciogliere la novecentesca afasia del racconto, sintomo di quella decostruzione del senso e dei valori indotto dal dominio totale e pervasivo del post-capitalismo neoliberista sugli obiettivi e sulle azioni della odierna società globalizzata.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Uno degli elementi salienti della mostra di Etienne de France è la rappresentazione eidetica del supposto canto della Ritina, non dissimile dal canto della balene. Questa visualizzazione dei flussi sonori del canto in questione ha permesso all'artista di identificare dei costrutti semantici definiti “Geogrammi”, a loro volta suddivisi in base ai differenti contenuti informazionali “ Fluxugrammi”, “Catagrammi”e “Poegrammi”.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Questi moduli semantici sono le tracce dell'intelligenza ambientale, con le relative tonalità emozionali, della Ritina e dell'intelligenza umana allo stesso tempo. Sono in sostanza degli ibridi semantici il cui significato di fondo si può comprendere nell'alveo del concetto di “internaturalità”, così come è stato formulato nel 1998 dell'etnologo Eduardo Viveiros de Castro e viene oggi riproposto da Gianfranco Marrone in affiancamento al concetto di “interculturalità”.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">A partire all'incirca dai primi anni del Duemila si è manifestata, nell'ampio bacino della riflessione teorica e anche della creatività artistica di senso ecologico, la necessità di una revisione profonda e generale del pensiero occidentale universalistico tradizionale e di tutte le ideologie pratiche e le credenze che innervano la prassi delle società e degli individui, ivi compresa la visione naturalistica “umanistica” della cosiddetta ecologia “soft” e delle sue mistificazioni pratiche e teoriche.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Questo processo di revisione si è di fatto sviluppato in questi ultimi anni attraverso le elaborazioni di un sociologo come Bruno Latour o di uno zooantropologo come Roberto Marchesini, ma anche attraverso l'autoriflessione degli artisti dell'area della Bio Arte, come ad esempio Eduardo Kac, con la sua cosmologia oleografica, o Gilles Clément con la sua teoria del giardino planetario.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Questo lavoro teorico ha analizzato e demistificato una serie di antinomie residuali ma comunque fondanti per le logiche sociali della sociètà postcapitalistica globalizzata, come quella tra corpo e mente, tra natura e cultura e tra umano e non umano.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Tuttavia, proprio sulla base del superamento critico dell'antinomia tra umano e non umano, si sono sviluppate le posizioni radicali e “reattive” della cosiddetta ecologia “hard”, ad esempio quelle a sostegno dell' “Animalismo di seconda generazione” coerentemente riassunte nel libro “Nell'albergo di Adamo” di Massimo Filippi e Filippo Trasatti.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">L’enfasi, per certi versi comprensibile, sulla totale differenza e autonomia dell'intelligenze non-umane, rischia di occultare la fecondità evolutiva dell’ibridazione tra le differenti – sul piano biologico come su quello storico – culture dei sistemi viventi.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">L'internaturalità come <i>main road</i> del pensiero contemporaneo penso vada intesa in senso ampio e inclusivo, cioè non solo come terreno di ibridazione tra le differenti concezioni della natura attive nei vari contesti etnici del sistema umano, dall'ecologismo all'animismo al totemismo, ma soprattutto come il campo aperto e contingenziale di ibridazione tra tutte le forme biologiche e storiche d'intelligenza vivente.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Le assonanze tra le reti comunicative dei cetacei e le reti comunicative antropiche che Etienne de France mette in evidenza con il suo lavoro artistico mi paiono, in conclusione, coerenti con la crescita e la maturazione della dinamica culturale ed esistenziale della internaturalità.</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Piero Gilardi</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span><br />
<span style="font-size: small;"><br />
</span><br />
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="color: black; font-size: small;"> </span></div>
<div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;">Riferimenti bibliografici:</span></div>
<ul style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<li><span style="font-size: small;">Gianfranco Marrone, Addio alla Natura, Ed. Giulio Einaudi, Torino 2011</span></li>
<li><span style="font-size: small;">Bruno Latour, Politiche della Natura, Ed. Cortina, Milano 2000</span></li>
<li><span style="font-size: small;">Roberto Marchesini, Intelligenze Plurime, Ed. Clueb, Bologna 2008</span></li>
<li><span style="font-size: small;">Massimo Filippi e Filippo Trasatti, Nell'albergo di Adamo, Ed. Mimesis, Milano 2010 </span></li>
</ul>
Anonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-73610633743955815012012-04-02T15:11:00.003+02:002013-08-05T17:48:18.564+02:00A memoria di rosa non si è mai visto morire un giardiniere [1]<style>
<font size="3">
<!--
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<div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;">
<span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=7957919493170663273#_ftn1" name="_ftnref" title=""></a></span></div>
<div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;">
<span style="font-size: small;"><i>C'erano una volta delle mucche di mare che pascolavano tranquillamente nelle fredde acque del Mare Glaciale Artico.</i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;">
<span style="font-size: small;">Inizia così il testo critico di Annick Bureaud, curatrice della mostra <i>Tales Of A Sea Cow</i>, personale di Etienne de France, ed è questo registro affabulatorio che viene adottato nel meta-racconto interpretato dalla voce guida di Gisella Bein, come nei libri tattili realizzati da Stefano Lattanzio. Si tratta di svariati dispositivi accessibili che faciliteranno la visita e il coinvolgimento anche a coloro che non possono leggere le carte geografiche dettagliate e le puntuali descrizioni naturalistiche che compongono l’esposizione temporanea visibile al PAV. <br />
</span><br />
<a name='more'></a></div>
<div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;">
<span style="font-size: small;">Bureaud seguita a immaginare, e immedesimandosi, lo fa in prima persona:</span></div>
<div class="Normal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin-right: -4.4pt;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div class="Normal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin-right: -4.4pt;">
<span style="font-size: small;"><i>È successo nei tempi antichi, queste creature chiamate uomini ci hanno cacciato quasi fino a sterminarci; i nostri antenati sono sopravvissuti solo in Groenlandia, nelle fredde acque dell'Atlantico Artico. Abbiamo imparato a captare la loro lingua attraverso gli strani oggetti che loro utilizzano per comunicare.</i></span></div>
<div class="Normal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin-right: -4.4pt;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div class="Normal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin-right: -4.4pt;">
<span style="font-size: small;">A parlare è un coro di mucche di mare, o Ritine di Steller, animali misteriosi e pacifici che vivevano in branchi di maschi, femmine e piccoli. E, secondo i resoconti del naturalista che li ha scoperti nell’ambiente estremo, non mostravano paura alla vista di uomini e imbarcazioni. Semplicemente, erano soliti trascorrere il tempo mangiando alghe, e dopo essersi cibati, riposavano dormendo supini, testa e pancia affioranti in superficie. Questo è quanto il “giardiniere” Georg Wilhelm</span><span style="font-size: small;"><b> </b></span><span style="font-size: small;">Steller, supervisore di flora e fauna, ha riportato nelle sue memorie. Steller, che è morto in Siberia tentando il ritorno dalla spedizione russa voluta dallo zar Pietro il Grande e finita in naufragio, non è sopravvissuto alla pur breve vita della specie descritta nel suo <i>De Bestiis Marinis</i>. </span></div>
<div class="Normal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin-right: -4.4pt;">
<span style="font-size: small;">Lo sterminio lampo delle mucche di mare è emblematico di un rapporto intraspecie squilibrato e strumentale che al desiderio di conoscenza, se non anche di convivenza, preferisce l’incorporamento (in questo caso, attraverso la macellazione a scopo alimentare, letterale) dell’Altro da sé. </span></div>
<div class="Normal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin-right: -4.4pt;">
<span style="background: none repeat scroll 0% 0% yellow; font-size: small;"><br />
</span></div>
<div class="Normal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin-right: -4.4pt;">
<span style="font-size: small;">Come oggi de France utilizza la forma del racconto pseudo documentario, adatta all’esposizione di fatti circostanziati che si immagina realmente accaduti, allo stesso modo l’“io narrante” letterario<span style="color: red;"> </span>del viaggiatore settecentesco ci ha guidati attraverso le meraviglie o le crudeltà incontrate in prima persona da personaggi non veri, ma verosimili. Per ragionare concretamente su questi presupposti teorici abbiamo individuato una guida letteraria, di esempio per chi esplora specie, linguaggi, ambienti, società, epoche: il signor Lemuel Gulliver di Jonathan Swift. </span></div>
<div class="Normal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin-right: -4.4pt;">
<span style="font-size: small;"><i>Gulliver’s Travel</i></span><span style="font-size: small;"> è il titolo dell’azione di laboratorio con il pubblico che accompagna l’approfondimento della mostra di de France. Come Gulliver immaginiamo (ma è tutto vero, come insistiamo a dire) arcipelaghi popolati di individui, animali e piante a misura di Lilliput o di Brobdingnag, cercando le relazioni plausibili che dipendono dalle differenti</span><span style="font-size: small;"> </span><span style="font-size: small;">dimensioni, dai rapporti di forza degli incontri, spesso casuali. L’obiettivo è quello di deviare la consueta visione antropocentrica, mettendoci in relazione con quante più possibili alterità, ribaltando e rendendo elastico il punto di osservazione.</span></div>
<div class="Normal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin-right: -4.4pt;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div class="Normal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin-right: -4.4pt;">
<span style="font-size: small;">Il pubblico del PAV è invitato a questi esercizi di rovesciamento della prospettiva attraverso due workshop con gli artisti Norma Jeane e Piero Gilardi, durante i quali si lavorerà sul desiderio di relazionarci con ciò che è altro da noi, l’istinto a incorporare quanto vogliamo far nostro, fino allo sperpero di risorse dettato dal modello consumistico. In <i>Methodology of squandering</i>
(Metodologia dello sperpero) Norma Jeane, in collaborazione con lo chef Luca Fogato, tratta i delicati rapporti concettuali che abbiamo con il cibo, il suo consumo, il valore simbolico e l’impatto emotivo dell’uso non utilitaristico di questa materia complessa, che differenzia in modo sostanziale la nostra specie dal resto del regno animale.</span></div>
<div class="Normal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin-right: -4.4pt;">
<span style="font-size: small;">Il workshop <i>Noi come animali</i>, condotto da
Piero Gilardi, torna fortemente a confrontarsi con l’alterità, mettendo in luce la “questione animale” sempre più evidente. Immense le sofferenze inflitte quotidianamente agli animali, “figli di un dio minore”, e per le ragioni più svariate e strumentali: schiavitù degli allevamenti intensivi, sperimentazioni “scientifiche”, riduzione in cibo. </span></div>
<div class="Normal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin-right: -4.4pt;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span></div>
<div class="Normal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin-right: -4.4pt;">
<span style="font-size: small;">Il mondo animale (la teriosfera) solo attraverso il rispetto biologico e affettivo può riacquistare il suo valore, in quanto attore di una partnership coevolutiva e desideroso, come chiunque, di trovare un equilibrio di convivenza. “Perché tutto è concatenato nella natura, e chi suppone un nuovo fenomeno o ricostruisce un istante passato, ricrea un nuovo mondo”.</span><span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=7957919493170663273#_ftn2" name="_ftnref" title=""><span class="MsoFootnoteReference">[2]</span></a></span></div>
<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
<span style="font-size: small;"><br />
</span><br />
<span style="font-size: small;"><br />
</span><br />
<span style="font-size: small;"><br />
</span><br />
<span style="font-size: small;">Orietta Brombin</span><br />
<span style="font-size: small;"><br />
</span><br />
<hr align="left" size="1" width="33%" />
<div id="ftn">
<div class="MsoFootnoteText">
<span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=7957919493170663273#_ftnref" name="_ftn1" title=""><span class="MsoFootnoteReference">[1]</span></a></span><span style="font-size: small;"> </span><span style="font-size: small;">Bernard le Bovier de Fontenelle (1657 – 1757), citato in Denis Diderot, <i>Il sogno di d’Alembert</i>, Sellerio, Palermo, 1994, p. 43</span></div>
</div>
<div id="ftn">
<div class="MsoFootnoteText">
<span style="font-size: small;"><a href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=7957919493170663273#_ftnref" name="_ftn2" title=""><span class="MsoFootnoteReference">[2]</span></a> </span><span style="font-size: small;">Denis Diderot, <i>op. cit.,</i> p. 16</span></div>
</div>
</div>
Anonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-74252613733595682452011-11-03T11:21:00.006+01:002012-04-02T17:59:27.247+02:00Altre parole<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><style>
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</style> </div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small; line-height: 120%;"><br />
Queste parole dovevano essere altre. A proposito di cerchi che si chiudevano, paradossi che si schiudevano, modelli nuovi e vecchi, spinte e controspinte, fughe in avanti e indietro, scoperte e ritirate. Tanta carne al fuoco, due soli personaggi, l’uomo e la natura.</span><br />
<a name='more'></a><span style="font-size: small; line-height: 120%;"> Un rapporto difficile, come tra madre e figlio, e in effetti lo è. Come ogni figliol prodigo, queste parole dovevano parlare di come l’uomo si sia dato tanto da fare cercando la propria libertà lontano da casa, “Il futuro è nella plastica!” lo slogan di un’intera epoca sintetizzato in una celebre scena de Il Laureato. Per poi, con la stessa energia, accorgersi che proprio quella libertà non era possibile se non a braccetto con la stessa natura, tanto a lungo vista come freno se non giogo: e il cerchio era chiuso. Il 18 ottobre 2011 però, poco dopo aver festeggiato i novant’anni, si è spento Andrea Zanzotto. È successo a Conegliano, nel suo Veneto, provincia trevigiana profonda, dove era nato il 10 di ottobre del 1921. Provincia di paesaggi, vissuti in comunione con il mondo, all’aria aperta di una terra intima e rivisti allo specchio dei quadri del padre pittore. Paesaggi spesso di natura ferita, come l’Italia attorno, deturpata dal Fascismo prima, da altri miti e chimere poi: illusioni, dopo le bombe della guerra e i boom del miracolo economico. Che il futuro fosse nella plastica o in qualcos’altro poco importa, di certo l’uomo non sembrava più appartenere alla terra. </span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small; line-height: 120%;">“Dal paesaggio” – ripeteva il poeta – “ricevevo una forza di bellezza e tranquillità. Ecco perché la sua distruzione è stata per me un lutto terribile”. Ma ogni lutto può generare un seme: è la lezione delle piante, troppo quotidiana per tenerla a mente, come i poeti che si leggevano a scuola. Ma il seme di qualche pianta, talvolta, diventa diventa diventa:</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b><span style="line-height: 120%;">MAROTEI, DE MATINA BONORA</span></b></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Grune de fen</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">che i par bar</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">color de fer</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">qua e là</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">pa’ i pra</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">rasadi de rossada</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">stech e fii</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">de erbete</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">ingattiade strigade</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">deventade storte</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">deventade morte</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">deventade sgonfie</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">deventade stonfe</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">deventade deventade deventade</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b><span style="line-height: 120%;">MUCCHIETTI DI FIENO, LA MATTINA PRESTO</span></b></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Mucchi di fieno</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">che sembrano cespugli</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">colore del ferro</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">qua e là </span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">per i prati</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">rasi di rugiada</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">stecchi e fili</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">di erbette</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">arruffate stregate</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">diventate storte</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">diventate morte</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">diventate gonfie</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">diventate zuppe</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">diventate diventate diventate</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small; line-height: 120%;">Semi, possibilità, che risuonano e si rigenerano in una voce d’oltreoceano, Gary Snyder, poeta beat premio Pulitzer nel 1975 ed esploratore di terre di confine, tra Oriente e Occidente, forma e sostanza, un percorso personale che è un diario di viaggio verso l’emancipazione dell’uomo dalle poetiche superate e i modelli di vita e consumo ancora da superare. </span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b><span style="line-height: 120%;">PINE TREE TOPS *</span></b></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">In the blue night</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Frost haze, the sky glows</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">With the moon</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Pine tree tops</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Bend snow-blue, fade</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Into sky, frost, starlight.</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">The creak of boots.</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Rabbit tracks, deer tracks,</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">what do we know.</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small; line-height: 120%;"><br />
<b>LE CIME DEI PINI</b></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Nella notte blu</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Nebbia gelata, il cielo rifulge</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Della luce lunare</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Le cime dei pini</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Si tingono di un blu neve, scolorano</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Nel cielo, nel gelo, nelle stelle.</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Calpestio di stivali.</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Impronte di coniglio, impronte di cervo,</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">cosa possiamo saperne.</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b><span style="line-height: 120%;">BY FRAZIER CREEK FALLS *</span></b></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Standing up on lifted, folded rock</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Looking out and down–</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">The creek falls to a far valley.</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Hills beyond that</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Facing, half-forested, dry</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">–clear sky</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">strong wind in the</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">stiff glittering needle clusters</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">of the pine-their brown</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">round trunk bodies</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">straight, still;</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">rustling trembling limbs and twigs</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">listen.</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">This living flowing land</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Is all there is, forever</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">We are it</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">It sings through us–</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">We could live on this Earth</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Without clothes or tools!</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b><span style="line-height: 120%;">ALLE CASCATE DI FRAZIER CREEK</span></b></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">In piedi, su una roccia alta, corrugata</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Guardo dall’alto –</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Il torrente cade in una valle lontana.</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Le colline oltre</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Di fronte, in parte coperte dal bosco, aride,</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">– cielo limpido</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">vento forte tra i</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">ciuffi degli aghi</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">di pino, duri e splendenti – i tronchi,</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">corpi rotondi, marroni,</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">dritti e immobili;</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">fruscio vibrante di rami e ramoscelli</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">ascolta.</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Questa terra fluente, viva</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">È tutto ciò che esiste, per sempre</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Noi siamo lei</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Lei canta attraverso noi –</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Potremmo vivere su questa Terra</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><span style="line-height: 120%;">Senza vestiti e senza attrezzi!</span></i></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small; line-height: 120%;">Ma la forma è sostanza, difficili da separare come le radici dal fusto, si dice da tempo: lo stesso tempo che ha protetto le parole dei due poeti, come terra fertile, dove l’uomo non è mai stato solo né padrone di casa. E per dirlo c’era bisogno di altre parole.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">* </span><span style="font-size: small;">Gary Snyder, L’isola della tartaruga, tr. it. C.D’Ottavi, Nuovi Equilibri, Viterbo 2001.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Marco Magnone </span></div>Anonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-23131158357473291942011-11-03T11:20:00.004+01:002012-04-02T18:00:01.584+02:00L’approccio bioetico del Critical Art Ensemble<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><style>
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</style> </div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;"> Attorno al crinale dell’anno 2000 emerge la grande questione della biogenetica e delle biotecnologie.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">La clonazione della pecora Dolly e la mappatura del Genoma umano colpiscono l’immaginario sociale evocando il fantasma di Frankestein e nel contempo la speranza di cura delle malattie genetiche.</span><br />
<a name='more'></a></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Un esteso e contraddittorio dibattito si apre attorno al biotech e alle sue applicazioni sociali; anche tra gli scienziati le posizioni si dividono tra chi enfatizza la possibilità di progresso e chi enfatizza i rischi e le derive. I cittadini appaiono disorientati ed hanno difficoltà a capire i principi, le tecniche e le implicazioni data la complessità dell’argomento, ma indubbiamente entra in gioco nella psicologia di massa il pregiudizio novecentesco nei confronti della scienza alimentato dai suoi esiti negativi come l’invenzione della bomba atomica.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Ogni tecnica ed ogni tecnologia presenta sempre due volti, prefigura dei vantaggi per l’umanità e nello stesso tempo dispiega dei rischi.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Oggi uno dei compiti più ardui, data la complessità e la portata delle odierne biotecnologie – dalla biologia molecolare all’ingegneria genetica – consiste nel cercare un equilibrio consapevole tra gli effetti negativi e quelli positivi e di definire dei parametri fondati per discernerli e discriminarli.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Se all’ “evoluzione naturale”, con i suoi dispositivi selettivi, si sostituisce una sorta di “evoluzione artificiale” con altri meccanismi selettivi che valorizzano l’esistenza egoica dell’individuo ne possono conseguire delle gravi conseguenze.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Dunque soltanto la dimensione culturale, una evoluzione culturale consapevole, può consentire di superare questa impasse e correggere le dinamiche negative che le biotecnologie ingenerano.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">In una inchiesta a campione svolta nel 2002 da parte del Collettivo Bio Arti di Torino emergeva da una parte la fiducia delle persone intervistate nelle possibilità innovative di cura e riabilitazione delle biotecnologie in campo medico, ma nel contempo una forte diffidenza nei confronti della monopolizzazione privatistica – i brevetti sulla vita – della ricerca e della produzione biotech applicata all’agricoltura e alla farmacotecnologia.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">L’arte e gli artisti, in particolare quelli con radici culturali nell’arte neotecnologica degli anni ’90, si sono ben presto impegnati su questo problematico terreno scientifico ed etico.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Di questo fenomeno ha dato conto il Festival Ars Electronica nel 1999, dedicato a “The next sex”, e nel 2000 a “Life Science”.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Le pratiche espressive degli artisti della Biotech Art avevano come obiettivo prioritario quella di “mettere in scena” la problematica scientifica della biogenetica, di farla percepire, anche in modo provocatorio, e di aiutare a comprenderne i termini, le implicazioni e le conseguenze per la vita di tutti e per il futuro della società.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;"><br />
<b>L’ATTIVISMO DEL CAE</b></span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;"><br />
Tutta un’area dell’Arte Biotech sviluppa una pratica relazionale di performance, laboratori partecipativi, teatro militante ed installazioni volti a informare il pubblico sui gravi rischi di un utilizzo delle biotecnologie a fini di profitto, da parte delle multinazionali come Monsanto o Lever Gibbs.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Questo attivismo politico si collega sul piano artistico alle esperienze del Movimento Situazionista e dei gruppi – come “Guerrilla Girls” – che a partire dagli anni ’70 hanno sviluppato forme di arte </span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">politica militante, su temi etici e anticapitalistici.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Il CAE è indubbiamente uno dei gruppi artistici più impegnati a divulgare la problematica sociale del biotech nei suoi vari aspetti: dall’eugenismo, alle tecnologie della riproduzione umana, dagli OGM nascosti nei cibi ai medicinali “postgenomici”.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Il leader storico del gruppo è Steve Kurtz che ha pagato di persona il suo impegno politico con un arresto per “bioterrorismo”.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">L’attività del CAE, appassionata e coinvolgente, si fonda su posizioni teoriche e critiche chiare ed articolate, riassunte nel loro libro “L’invasione molecolare” (tradotto anche in italiano e scaricabile </span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">gratuitamente dal sito web del collettivo).</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">In questo testo vengono denunciate tutte le distorsioni delle biotecnologie usate per fini ommerciali e le mistificazioni retoriche impiegate per giustificarle sul piano giuridico e dell’opinione pubblica.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Il pensiero del CAE assume l’hybris come aspetto fondamentale della natura e del suo processo evolutivo e indica la categoria di “Transgeneia” come uno dei grandi ordini del vivente riconosciuti dalla Scienza odierna. La natura è considerata di per sé transgenica poiché tutti gli organismi, sotto la pressione selettiva dell’ambiente, si sono non solo adattati ma anche ibridati, dalla notte dei tempi. Oggi l’essere umano ha sviluppato delle conoscenze e delle tecnologie che permettono di modificare il genotipo degli esseri viventi – uomo compreso – ma questo fatto implica una nuova grande responsabilità.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Le multinazionali biotech non assumono il necessario “principio di precauzione” e continuano a lanciare sul mercato organismi geneticamente modificati – brevettati – le cui conseguenze </span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">sull’ambiente e sulle catene alimentari biologiche sono disastrose. </span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">La pratica performativa e partecipativa del CAE da una parte demistifica il mito metafisico della “purezza naturale” e dall’altra aiuta i soggetti sociali a prendere coscienza dell’uso distorto delle </span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">biotecnologie industriali che inquinano sempre di più il nostro ambiente sociale, la nostra vita e quella delle generazioni future.<br />
<br />
<br />
<br />
Piero Gilardi<br />
Direttore Artistico PAV</span></div>Anonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-70249779426660085922011-11-03T11:14:00.004+01:002011-12-12T17:05:51.557+01:00Alleanza-Conoscenza-Rispetto<div class="Paragrafobase" style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;"> Non un orto urbano, non un parco, non un giardino ma un santuario destinato alla coltivazione delle specie protette in uno “spazio indeciso” della città, in modo da rendere lo spazio stesso tutelato e, quindi, inedificabile. Questo l’obiettivo, suggestivo e provocatorio, proposto dal collettivo CAE. </span><br />
<a name='more'></a></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Suggestivo, ma di difficile applicazione: le specie vegetali tutelate in Piemonte appartengono quasi tutte ad habitat montani e/o ad habitat con condizioni ecologiche molto peculiari e quindi mal si adatterebbero ad un ambiente urbano di pianura. Inoltre, la messa a dimora di piante, ancorché protette, non determina ipso facto, alla luce della legislazione vigente, la tutela dell’area interessata. </span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Come poter instaurare, quindi, un’alleanza tra uomo e piante? La conoscenza delle diverse specie, e quindi il loro rispetto, potrebbe essere un buon punto di partenza.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Le piante, come tutti gli esseri viventi, mirano alla riproduzione e quindi alla trasmissione del proprio patrimonio genetico. L’uomo finché ha avuto una chiara consapevolezza dei benefici che si potevano ottenere dalle piante ha contribuito alla loro tutela e moltiplicazione.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Alcune specie hanno proprietà medicinali, altre sono aromatiche, alcune commestibili, altre sono piante tessili, vi sono specie che forniscono coloranti ed altre importanti materiali da costruzione, molte piante ci suscitano “semplicemente” emozioni estetiche; e l’elenco potrebbe proseguire a lungo. Ma le sostanze naturali sono state man mano soppiantate da quelle artificiali e così ci si è dimenticati del possibile impiego di molte specie; chi si ricorda che l’ortica (Urtica dioica) è un’ottima pianta tessile o che il pastello (Isatis tinctoria) è stato così chiamato perché se ne ottiene un colorante che conferisce ai tessuti le più belle nuances di blu o che il principio attivo dell’aspirina è l’acido acetilsalicilico che, guarda un po’, è stato estratto in origine dai salici (Salix sp.pl.)? </span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Così progressivamente l’aspetto estetico è divenuto il criterio preponderante nel giudicare le piante (e, a quanto pare, non solo loro). Un aneddoto può servire a comprendere meglio: al 3° Raduno nazionale di Guerrilla Gardening, dopo che avevo illustrato la mia personale visione sulle cosiddette erbacce, è stato presentato un progetto di giardino condiviso, diventato nel tempo un’importante collezione di Iris. “ Va tutto bene,”mi è stato detto, “ ma le erbacce sono erbacce e noi qui dobbiamo combattere costantemente per proteggere le nostre Iris, in particolare dall’attacco dell’artemisia annuale (Artemisia annua)”. Il genere artemisia è noto per le numerose specie dalle interessanti e diverse proprietà che le rendono utili per molteplici usi. Basti citare ad esempio l’assenzio (Artemisia absinthium) e le artemisie alpine quali il genepì (Artemisia genipì). Ma tra specie tanto interessanti, l’artemisia annuale (Artemisia annua) si distingue per la cattiva fama che l’accompagna quale infestante invasiva e pianta allergogena. Attente indagini scientifiche hanno individuato le ragioni della sua grande diffusione: una produzione media di circa centoventimila semi a pianta con massimi di ottocentomila; un’elevata germinabilità; la capacità dei semi di germinare con temperature comprese tra 5 °C e 30 °C e in un periodo che va dalla primavera all’autunno; una bassa richiesta di nutrienti che, se presenti, incrementano il numero di fiori per pianta. </span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Visto dalla parte di chi ama coltivare le Iris, il ragionamento di lotta senza quartiere all’artemisia annua non fa una grinza: nel momento in cui una pianta ci è utile (in questo caso per la bellezza</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">del fiore) e la curiamo e tuteliamo, le altre piante diventano delle erbacce infestanti, ospiti </span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">fastidiose da eradicare. </span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Ma, colpo di scena, improvvisamente si riscoprono le proprietà terapeutiche della pianta: infatti, unica tra le artemisie, contiene l’artemisina, sostanza in grado di curare la malaria (che colpisce milioni di persone nei paesi a rischio) in modo più efficace ed economico rispetto ad altre </span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">sostanze. </span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">L’organizzazione Medici Senza Frontiere ha pertanto lanciato un appello per la coltivazione su larga scala di questa “erbaccia” ! A questo punto se, per assurdo, si fosse costretti per “a buttare giù dalla torre” una delle due specie, la scelta a favore dell’Iris non sarebbe così scontata.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Secondo il filosofo americano Ralph Waldo Emerson (1803 –1882), “A weed is a plant whose virtues have not yet been discovered”, ma forse bisognerebbe aggiungere o le cui virtù sono state dimenticate. </span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Ma vi sono piante a cui proprio non riusciamo ad attribuire nessuna virtù. E, qui, ci viene in </span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">soccorso il concetto di ecosistema. </span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Semplicemente, ogni pianta ed ogni organismo è importante in quanto fa parte di un ecosistema cioè un sistema in cui tutti gli esseri sono in relazione tra loro e con le componenti abiotiche: se scompare una specie anche le altre ne risentono direttamente o indirettamente, in maniera più o mena marcata. Anni di didattica naturalistica hanno cercato di insegnare questo concetto quando veniva posta la domanda: “Ma a cosa servono il pipistrello, l’aquila, il coccodrillo? Sono bestiacce inutili e/o dannose per l’uomo, da eliminare”. </span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">Oggigiorno la coscienza, e la conoscenza, delle relazioni che intercorrono tra gli animali hanno fatto grandi passi in avanti e queste domande sono sempre più rare.</span></div><div class="Paragrafobase" style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; line-height: normal;"><span style="font-size: small;">In conclusione per stabilire una nuova alleanza con le piante, forse, bisognerebbe sospendere ogni giudizio e fare in modo che non venga più pronunciata la domanda: A cosa serve la gramigna?”<br />
<br />
<br />
<br />
Daniele Fazio<br />
Dottore Agronomo</span></div>Anonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-33443315423362431872011-11-03T11:07:00.004+01:002012-04-02T18:02:04.682+02:00Guardarsi allo specchio e vedere il mondo<div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Tutto è cominciato così.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Da uno scambio di mail tra Orietta Brombin, responsabile delle Attività educative e formative del PAV, e il CAE, il Critical Art Ensemble, che ha proposto:</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><i>un workshop che metta in relazione la condizione di precarietà che accomuna le specie vegetali a rischio e gli spazi di verde e socialità anch’essi a rischio, così da rafforzare e proteggere entrambi. </i></span><br />
<a name='more'></a></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><i>In molti paesi, le specie vegetali a rischio godono di una protezione legale ad hoc. Mal che vada, queste leggi servono quantomeno a suscitare la simpatia del pubblico e danno ai conservazionisti uno strumento etico per le loro battaglie. </i></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><i>Queste piante possono anche essere fragili come specie, ma prese singolarmente sono tenaci. Se si potesse, attraverso un’azione di riappropriazione del territorio, incanalare questa loro forza sugli spazi umani e naturali che subiscono l’erosione per mano dei più diversi agenti del capitalismo, interessati al profitto e/o al potere, e sono gestiti invece da persone troppo deboli per difenderli, forse sarebbe possibile dare il via a una forma di simbiosi socio-politica tra il mondo vegetale e gli esseri umani. Il verde crescerebbe perché la gente si impegnerebbe a coltivare sempre più piante a scopo di autodifesa, occupandosi così di arginare la riduzione della biodiversità, e a loro volta anche gli spazi pubblici godrebbero della protezione legale che salvaguarda le piante a rischio estinzione e verrebbero messi al riparo dai tentativi di aggressione o cancellazione ad opera di chi vorrebbe appropriarsene e sfruttarli</i></span><span style="font-size: small;">. </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin: 0.1pt 0cm; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin: 0.1pt 0cm; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Questa la sfida del workshop che il CAE intendeva proporre al pubblico del PAV per l’inizio di novembre 2011.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin: 0.1pt 0cm; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Una proposta articolata, complessa e un’ipotesi di lavoro tutta da verificare. </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin: 0.1pt 0cm; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin: 0.1pt 0cm; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Ecco come nasce il percorso <b><i>Guardarsi allo specchio e vedere il mondo</i></b><i>, </i></span><span style="font-size: small;">un tempo dedicato a<b><span style="font-weight: normal;"> sviluppare le sollecitazioni del CAE e indagare le possibilità, i limiti e le connessioni del tema; un </span></b>laboratorio<b><i> </i></b><b><span style="font-weight: normal;">continuo, cadenzato su incontri periodici (ogni due settimane), in ambiente<i> self-education</i>, dove cioè si mettono in comune saperi ed esperienze. </span></b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin: 0.1pt 0cm; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><b><span style="font-weight: normal;">Affidato alle cure dell’artista </span></b><b>Jacopo Seri</b><b><span style="font-weight: normal;">, il percorso esordisce </span></b></span><span style="font-size: small;">il 13 maggio 2011 alla GAM di Torino, nell’ambito della rassegna <b>Zonarte 2011,</b> promossa dalla Fondazione per l'Arte Moderna e Contemporanea – CRT, che mette in rete i dipartimenti educativi dei principali musei d’arte contemporanea della Città e della Regione.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Quel giorno il percorso ha preso il via, radunando un primo manipolo di pionieri disposti all’avventura. Nel corso dei mesi il gruppo ha assunto forme e dimensioni diverse, accogliendo via via le persone più disparate, ma tutte curiose di vedere cosa stava succedendo. Qualcuno si è solo affacciato, qualcuno è rimasto, tutti hanno lasciato un contributo, un suggerimento, un’idea.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Hanno partecipato artisti, agronomi, architetti, antropologi, danzatori, esperti forestali, fotografi, geologi, insegnanti, paesaggisti, psicologi, studenti dell’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino, traduttori, cittadini.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Hanno partecipato al gruppo (in ordine di apparizione):</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Iacopo Seri, Nunzio Cirulli, Cinzia Termini, Gabriella Moltoni, Luca Pinciaroli, Stefano Lattanzio, Venceslao Cembalo, Marco Toscano, Massimiliano Pautasso, Gianluca Cosmacini, Gabriella Mazzola, Setsuko, Andrea Ighina, Igor Cicconetti, Daniele Fazio, Cristina Balma Tivola, Doriana Crema, Paola Colonna, Giovanna Bonito.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Con la partecipazione di: gruppo Arte Terapia ASL To2, Monica Murdaca-Simone, allievi della Scuola Professionale Orafi <i>E. G. Ghirardi</i>, Paola Martinengo, Daniela Callegari, Elisa Bruna Urbani, Carla Tenivella, Emma Pilone, Giulio Selciti, Liana Galeotti Mazzoleni, Claretta Zo, Claudia Bonvissuto, Ilaria Benecchi, Ornella Capretto, Sunil Vallu.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Cordinamento: staff delle Attività educative e formative del PAV: Orietta Brombin (responsabile), Emanuela Romano e Valentina Salati (educatrici), Francesca Doro (stagista).</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Grazie a tutti loro, siamo pronti ad affrontare il workshop_23 <i>NEW ALLIANCE</i>, dal 3 al 6 novembre. Il CAE - Steve Kurtz, Lucia Sommer e Steven Barnes – coinvolgerà il pubblico del PAV in discussioni, esplorazioni nel territorio ed elaborazioni etico-estetiche che toccheranno i temi della responsabilità dei gesti quotidiani e i rapporti tra artificiosità e naturalità dei comportamenti: all’interno dell’ambiente, nella comunicazione con l’Altro e in relazione alle criticità che la società contemporanea vive nell’abitare gli spazi urbani e la natura. Obiettivo dichiarato: formulare una possibile Nuova Alleanza tra le persone e le piante. </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Il workshop approderà ad <b>Artissima 18 </b>per una giornata di presentazione e attivazione con il pubblico, pranzo conviviale incluso: sabato 5 Novembre 2011 dalle 11 alle 17..</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><i>Guardarsi allo specchio e vdere il mondo</i></span><span style="font-size: small;">: 6 mesi di incontri, discussioni e scoperte.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin: 0.1pt 0cm; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Il diario del percorso è qui riassunto nelle “puntate” di una complessa sceneggiatura, pallida eco delle esperienze vissute dal gruppo:</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin: 0.1pt 0cm; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin: 0.1pt 0cm; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><b><i>Guardarsi allo specchio e vedere il mondo</i></b><b>, GAM, 13 maggio </b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; margin: 0.1pt 0cm; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Durante il primo incontro introduttivo, alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, abbiamo cominciato a confrontarci e conoscerci disegnando. Ognuno ha disegnato un suo autoritratto in forma di fiore, in seguito confluito in un’unica composizione murale collettiva. In questo modo è iniziata la formazione del gruppo di lavoro, la reciproca conoscenza e soprattutto il rapporto con la sfera vegetale, un percorso di conoscenza di sé attraverso le piante. Con gli autoritratti sono state stampate decine di cartoline, complete di dedica e francobollo, da spedire al prof. Steve Kurtz, presso il suo studio all’Università di Buffalo (stato di New York) dove l’artista insegna al College of Arts and Sciences, Department of Visual Studies.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><b><i>Terapia dell’attesa</i></b><b>, PAV, 24 maggio </b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">A partire da questa sessione di laboratorio abbiamo deciso di dare un titolo a ciascuna puntata, affidandoci alla dote di sintesi creativa che abbiamo scoperto in Nunzio. Si è qui discusso dei temi chiave che potessero essere utili alla preparazione dei contenuti e dei materiali da proporre durante il workshop di novembre, a cominciare dalla lettura della mappa della città, dove sono stati individuati i luoghi di appartenenza di ciascuno, scegliendo gli spazi urbani nei quali la natura è presente e con i quali trovare un legame affettivo. Abbiamo individuato alcuni luoghi dove la natura è presente a vario titolo e che potrebbero diventare una possibile meta di esplorazione con il CAE: il greto del Po accanto alla Gran Madre; il mercato di Porta Palazzo; l’ex stadio Filadelfia; lo spartitraffico, in mezzo a corso Regina Margherita, trasformato in giardino coltivato da un cittadino; l’area cintata tra corso Giulio Cesare ed il lungo Dora; l’ex Istituto di correzione femminile <i>Buon Pastore</i> in corso Principe Oddone.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">La lettura della novella <i>Funghi in città</i> nel <i>Marcovaldo ovvero le stagioni in città</i> di Italo Calvino ci ha fatto ripensare agli spartitraffico che oggi alcuni cittadini coltivano. Si è rilevato quanto sia ispiratrice l’esistenza di spazi liberi e indecisi per gli uomini e per animali che vi trovano rifugio, e anche quanto il tempo sia un ingrediente fondamentale per qualsiasi progetto che preveda un’alleanza col mondo vegetale. Si tratta di abituarsi a uno sguardo meno frettoloso, più profondo, capace di cogliere le presenze vegetali spesso nascoste in mezzo al cemento. Ci siamo orientati verso le aree dismesse e in attesa di destinazione, in un certo senso luoghi indecisi, che resistono con la loro libera espressione alla logica della città, per approdare infine, un pensiero dietro l’altro, all’idea che osservare crescere una pianta può essere definito un esercizio di bellezza. </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><b><i>L’ultimo grande spazio a Torino</i></b><b>, ex Fiat Avio, PAV, 7 giugno</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">L’architetto <i>Marco Toscano</i>, della Regione Piemonte ci ha guidato in visita all’interno del ex sito industriale di via Passo Buole, ora in via di riqualificazione, e, per orientarci nella ricognizione delle specie botaniche pioniere, si sono uniti al gruppo di lavoro il geologo <i>Massimiliano Pautasso</i> e gli esperti forestali <i>Andrea Ighina</i> e <i>Igor Cicconetti</i>. </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Abbiamo preso coscienza di come l’abbandono dell’attività umana trasformi uno spazio in qualcosa che assomiglia al caos, ma che è un ordine più implicito e più a vasta scala e con regole sconosciute. </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">La vastissima area, come un’isola nella città, ha suscitato forti impressioni: luogo sospeso, a metà fra <i>La Zona</i> di Stalker, immaginata dal regista Tarkowski, e un giardino primordiale in espansione. Ambiente a prima vista inospitale e nello stesso tempo pieno di grande vitalità, l’area presentava diverse specie spontanee: pioppi ibridi, salici, buddleie, oltre a comunità di lepri e scoiattoli. Qui la natura si è riappropriata del suo spazio. Piante pioniere come l’ailanto, arbusto infestante dalla rapidissima proliferazione sempre presente nelle aree abbandonate, aprono la strada alle specie di seconda colonizzazione. <span style="text-transform: uppercase;">è</span> stato l’esempio vegetale a farci sentire il bisogno di boschi urbani, e ancor più il desiderio di una nuova cittadinanza attiva che possa svilupparsi in sintonia con il territorio naturale, rispettandolo e curandolo, in forma di gestione condivisa.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><b><i>La Forza della natura che è più grande della forza umana</i></b><b>,<i> </i>PAV<i>, </i>21 giugno<i> </i></b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Oltre alla realizzazione di altre cartoline autoprodotte, all’organizzazione della loro spedizione da luoghi e tempi diversi, la sessione di laboratorio è servita per fare esercizio di nuovi vocaboli inglesi per prepararci a dare il nostro benvenuto al CAE.</span><span style="font-size: small;"> </span><span style="font-size: small;">Ricollegandosi alla precedente esplorazione sul campo abbiamo scorso </span><span style="font-size: small;">le fotografie e </span><span style="font-size: small;">preso visione di materiale web che illustra le sconvolgenti modifiche dell’area ex Fiat Avio. </span><span style="font-size: small;">Il tema principale discusso è stato il confronto tra natura e tecnologia e come questa possa mettersi al servizio della natura. Una domanda lasciata aperta è se la tecnologia stessa non possa essere considerata parte della natura: dove passa la linea di confine tra naturale e artificiale? Pur riconoscendo le differenze di comportamento tra diverse entità viventi, sono emerse la possibilità e la volontà di considerarsi parti non districabili di un unico organismo in trasformazione.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Siamo tornati ancora una volta a riflettere sull’esempio emblematico offerto dall’ailanto (<i>Ailanthus altissima</i>), specie alloctona importata all’inizio del ‘900 dall’Asia, per tentare di allevare una farfalla, il Bombice dell’Ailanto (<i>Philosamia cynthia</i>), simile ai bachi da seta. Ne abbiamo rilevato la presenza presso scarpate ferroviarie ed altre zone selvagge tra le costruzioni, e ci siamo chiesti se questa pianta, che inaridisce il terreno dove cresce e lo rende meno ospitale per le altre specie, non sia ormai parte integrante del nostro ecosistema, anzi forse addirittura paradigma del nostro modello di sviluppo inarrestabile e portatore di aridità a più livelli.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><b><i>La frequenza che mette in contatto gli uomini e le piante è il silenzio</i></b><b>, PAV, 5 luglio</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">In questo incontro sono stati allestiti tre tavoli di lavoro (letteratura, cartografia, progettazione) per sviluppare gli spunti raccolti e dare respiro alle esperienze vissute. Si è così avviata la produzione dei documenti (testi e immagini) volti alla realizzazione di questo diario e di un quaderno con approfondimenti e spunti di lavoro utili al workshop con il CAE. <br />
Al tavolo della letteratura, con libri e dispense che spaziano dal <i>Barone Rampante</i> a cataloghi di erbe urbane, si è prodotto un collage di storie e frasi emblematiche. Il tavolo della cartografia ha affrontato la mappatura delle zone verdi della città quali siti di possibili interventi, per poi continuare in una deriva visionaria inventando nuove possibili aree di riconquista verde. Il tavolo della progettazione è servito a mettere insieme tutte le diverse esperienze di utilizzo del verde in città, e a partire da queste, a progettare nuove idee di intervento. </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><b><i>Liberare l’immaginazione come i semi volanti</i></b><b>, Quartiere San Salvario,19 luglio</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Questa uscita di luglio, sotto una calda pioggia monsonica, ci ha portati a visitare gli orti urbani privati e pubblici realizzati all’interno del quartiere San Salvario: dall’orto sospeso dello Studio 999, alle coltivazioni condivise della Casa del Quartiere, fino alla coraggiosa aiuola spontanea di piazza Nizza (fronte arrivo Metro).</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Abbiamo potuto così osservare e sperimentare modi inediti di vivere lo spazio e di ricavare nicchie verdi secondo le contingenze e le necessità. Raccogliendo impressioni, racconti e opinioni dei cittadini incontrati nel comune passeggio, abbiamo rilevato la loro disponibilità verso nuove pratiche di utilizzo degli spazi pubblici e, allo stesso tempo, la difficoltà ad occuparsene. Ci siamo fatti l’idea che per far vivere un orto urbano serva, piuttosto che una partecipazione generalizzata, un piccolo gruppo di persone altamente motivate, possibilmente ben organizzate e con del tempo a disposizione. Abbiamo visto inoltre che la miglior tipologia di spazio da utilizzare è a metà tra la sfera pubblica e quella privata: la troppa esposizione (aiuole spartitraffico) porta spesso al degrado dell’orto e comunque ad un elevato grado di inquinamento, d’altra parte gli orti totalmente privati (magari nei terrazzi) non contribuiscono significativamente a migliori pratiche di interazione col vegetale. L’ideale sarebbe quindi, forse, l’utilizzo di zone condominiali condivise, leggi e litigi permettendo.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><b><i>Ma cosa vogliono le piante?</i></b><b>, PAV, </b><b>13 settembre</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">In questa sessione ci siamo dedicati a raccogliere tutti i contributi portati da ciascun partecipante al gruppo in schede organizzate secondo le seguenti categorie: progetti urbani di giardini condivisi; tipologie di orti e giardini (giardini dei semplici, giardini delle spezie, coltivazioni “in scatola”, in particolare dei funghi); legislazione vigente; pubblicità e stile di vita contemporaneo; cronistoria del percorso. </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Hanno partecipato al laboratorio, in qualità di esperti, l’architetto paesaggista<i> Gianluca Cosmacini</i> e l’agronomo <i>Daniele Fazio</i>. </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Ricordando l’ultima passeggiata, ci siamo chiesti quale sia il senso di un’alleanza tra piante e persone, come ci è stata proposta dal CAE, e se la pratica del coltivare orti vi possa essere inclusa o non sia piuttosto un’ennesima concezione utilitaristica del bene naturale. L’esperienza ci dice che si desiderano, si coltivano, si curano o si proteggono solo piante che soddisfano i nostri bisogni: sfamarsi, coprirsi, godere del bello. Vorremmo ampliare il discorso a tutte quelle piante che non hanno una evidente utilità e si siamo chiesti come, attraverso la conoscenza, diffondere una cultura del rispetto per tutte le specie, anche quelle “inutili”.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Tra i diversi tipi di coltivazione urbana possono rientrare orti itineranti a rotelle in aree di temporaneo disuso e, a sfruttamento edilizio iniziato, spostabili in successive zone propizie. Una sorta di continuità discontinua in cui il verde migra di luogo in luogo per occupare interstizi dimenticati dalla produttività economica. </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">La sfida è quella di capire quali siano le esigenze delle piante e abbiamo cercato di individuare i parametri per capirlo. Gli elementi a disposizione sono pochi, ma alcuni punti fermi sono sicuramente il tempo, il silenzio e la ricerca di un’empatia intraspecie.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Daniele Fazio ci ha illustrato la legislazione per la salvaguardia di specie regionali in pericolo, cercando di verificare la fattibilità della proposta del CAE. In realtà colonizzare un’area abbandonata per restituirla allo spontaneismo sociale umano e vegetale facendo leva sul protezionismo ambientale non trova appigli nella giurisprudenza sul tema, nazionale o regionale. Ci troveremmo anzi nella surreale condizione di impiegare specie quasi tutte di piante di alta montagna, che non avrebbe senso deportare in un habitat come quello cittadino. Invece potrebbe essere utile ricreare un habitat intero, come un bosco, e aspettare pazientemente che cresca. Per legge, infatti quel bosco dopo vent’anni non potrà essere tagliato. </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><b><i>Luoghi Liberati</i></b><b>, Corso Bramante, Via Zino Zini, PAV, 27 settembre</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Per questo pomeriggio ci siamo dati un appuntamento a metà del cavalcavia di Corso Bramante, lungo la strada che porta al PAV, per un percorso di osservazione a planare, che ci portasse dalla visione dall’alto allo sguardo ravvicinato degli spazi, dal verticale all’orizzontale, fino a un’immersione sensoriale nel verde. </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Abbiamo osservato via Zino Zino (filosofo) snodarsi come un lungo serpentone sotto i nostri piedi e con gli stessi l’abbiamo poi percorsa in lungo, seguendo il cammino della ferrovia e tutto attorno all’area occupata dal PAV, scoprendo anche un’inaspettata aiuola verde che si affaccia, quasi come una terrazza, sui binari ferroviari. Sulla pagina Facebook “Per coloro che amano via Zino Zini a Torino”, si legge: <i>Non è possibile restare impassibili al fascino di questa via che praticamente è un'autostrada in mezzo a Torino</i>.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Tornati in laboratorio al PAV, siamo tornati a discutere su quanto sia importante per lo sviluppo di un progetto finale la continuità dell’azione, la comunicazione di quanto messo in atto, l’equilibrio tra il dare e l’avere all’interno dell’alleanza, e la tensione tra materiale e spirituale nell’agire. Abbiamo anche parlato di dialogo energetico, e fisico, con le piante: la prossima volta, affidandoci a <i>Paola Colonna</i>, che pratica e insegna danza sensibile, proveremo a “sentire” la vicinanza delle piante attraverso esercizi di rilassamento, respirazione e contatto nel verde.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><b><i>Voglio proprio vedere</i></b><b>, Lungo Dora Firenze angolo Corso Giulio Cesare, 11 ottobre</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Questa volta ci siamo dati appuntamento nella zona nord della città.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">L’area urbana che ci è stata segnalata è uno spiazzo abbandonato da anni che, negli scorsi anni ma ora non più, ha ospitato circhi in transito. Qui Paola ci ha condotti a un approccio di tipo performativo per provare a comunicare con l’ambiente attraverso la totalità del nostro corpo. A piedi nudi, stesi sullo spiazzo erboso tra corso 11 Febbraio e Lungo Dora Savona, il tempo si è fermato e, inaspettatamente indisturbati dalle centinaia di automobili in veloce passaggio, siamo riusciti ad assaporare minuti di pace a contatto con il suolo.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><b><i>Chi è il CAE?</i></b><b>, PAV, 25 ottobre</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;">Comincia il count-down: per l’imminente workshop del 3-4-5-6 novembre con il CAE Critical Art Ensemble – NEW ALLIANCE/worksop_23 del PAV. Abbiamo fatto il punto della situazione, riorganizzando i pensieri e i materiali raccolti lungo il percorso.
L’incontro è servito anche per conoscere a distanza l’opera del collettivo militante, questa è, in breve, la loro storia:</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: small;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/-yfENvTFd3oE/TrJozH4j-5I/AAAAAAAAAos/F0xVS3TpTys/s1600/mandragora.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><br />
</a></span></div><span style="font-size: small;">Il CAE, Critical Art Ensemble, fondato nel 1987 da Steven Kurtz e Steven Barnes, è un pluripremiato collettivo di artisti impegnati a esplorare le intersezioni tra arte, tecnologia, attivismo politico e teoria critica attraverso la computer grafica e web design, wetware, film/video, fotografia, text art, libro d'arte e performance. Per due decenni CAE ha prodotto ed esposto opere artistiche basate sugli interrogativi posti dall’informazione, la comunicazione e le bio-tecnologie. Il collettivo ha realizzato e prodotto una grande varietà di progetti in luoghi diversi che vanno dalla strada, al museo, a Internet. Il collettivo è stato invitato a esporre e a esibirsi nelle più importanti istituzioni culturali internazionali, tra gli altri il Whitney Museum e il New Museum di New York, il Corcoran Museum di Washington DC, l'ICA di Londra, la Schirn Kunsthalle di Francoforte, il Musée d'Art Moderne di Parigi, il Natural History Museum</span><span style="font-size: small;"> di </span><span style="font-size: small;">Londra.</span><br />
<span style="font-size: small;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/-yfENvTFd3oE/TrJozH4j-5I/AAAAAAAAAos/F0xVS3TpTys/s1600/mandragora.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="http://2.bp.blogspot.com/-yfENvTFd3oE/TrJozH4j-5I/AAAAAAAAAos/F0xVS3TpTys/s400/mandragora.jpg" width="270" /></a></span><br />
<span style="font-size: small;"><i>Mandragora</i></span></div>Anonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-23067375993991811372011-06-27T10:22:00.006+02:002012-04-02T18:02:54.711+02:00La mano a te dovuta - di Pamela Pelatelli<div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Autunno.</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">È quasi una settimana che piove. Sempre la stessa pioggia. Si infila sotto la pelle, sottile e insolente. A stare fuori tutto il giorno, con questa pioggia che batte sulla schiena, arrivo a sera e quasi non riesco a camminare eretto. Ho ventotto anni ma ne sento addosso molti di più. </span></div><a name='more'></a><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Nella parte di Romania in cui abito, il lavoro nei campi è l’unica cosa che fa sopravvivere. E io lavoro la poca terra che la mia famiglia è riuscita a conservare. In questo periodo dell’anno tiro gli animali e il carro con l’aratro tutto il giorno. Avanti e indietro. Su per una specie di collina. Non ci sono trattori da queste parti. Solo qualche famiglia ne possiede uno. </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Eppure bisogna seminare, altrimenti il prossimo anno non ci sarà alcun raccolto. Questa terra è tanto fertile agli occhi dei suoi compratori, quanto avara con la sua stessa gente. Per questo non ho intenzione di continuare a vivere qui. Non voglio vendere in anticipo la mia pelle al peggior offerente. </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"> </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Inverno.</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Sfrego i palmi delle mani l’uno contro l’altro da un paio di minuti ormai, ma è come se in mezzo non passasse calore. Li avvicino alla bocca e una nuvola calda investe la pelle. Nulla. Ho mani fredde e dure come pezzi di roccia. Solo il dolore mi ricorda che sono parte di me. Ogni volta che sbatto le nocche, una scintilla di sofferenza parte da quell’estremità del corpo e arriva dritta alla testa. Un brivido si aggiunge agli altri provocati dal freddo tagliente.<br />
– Uèèè, Dario! –, Mario sta chiamando Darius. – Ricordati che tu e l’altro amico tuo dovete sbrigarvi con quel muro lì. Entro domani lo voglio fatto!<br />
È stato Darius a farmi trovare lavoro nello stesso cantiere in cui anche lui fa il muratore. Mi ha aiutato molto da quando sono arrivato in Italia. Ora vivo in casa sua, con sua moglie Cosma. A fine giornata, mangiamo tutti assieme.<br />
Di notte, sento le mani che continuano a pulsare come se il freddo fosse rimasto dentro e non riuscisse a trovare un varco dal quale uscire.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"> </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Primavera.</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Darius è morto. È successo ieri mattina. Ha perso l’equilibrio mentre era sul ciglio di una delle tavole dell’impalcatura. Una disgrazia, l’hanno definita.<br />
Mario non ha concesso neanche una giornata di riposo.<br />
Sono in cantiere da questa mattina ma avrei solo voglia di vomitare. Gli altri muratori fischiano alle ragazze che passano e che scoprono le gambe al primo sole di primavera. Quando abbasso gli occhi, io vedo solo una chiazza di sangue.<br />
Darius è morto. Ma a nessuno sembra importare un granché. Ammiro il cielo azzurro che mi sovrasta e ai miei occhi si trasforma nel fastidio di una risata sguaiata. Il vento che si sente da quest’altezza non mi scalda, al contrario mi investe come una raffica improvvisa che assale al girare di un angolo. È come se la mia vita fosse altrove.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"> </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Estate</b></span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="color: black; font-size: small;">Sento le gocce di sudore scendere lungo la schiena e fermarsi all’altezza della cintola. Il sole picchia come una raffica di pugni. È difficile anche alzare lo sguardo per sgranchirsi la schiena. E allora spesso rimango con la testa bassa tutto il giorno. Fisso a lavorare.<br />
Vado avanti fino a quando Mario mi obbliga ad andarmene. Da quando Darius è morto, sono io a mantenere Cosma.<br />
Oggi, dopo la pausa pranzo, Mario mi ha chiesto di seguirlo nel suo ufficio. Appena entrati, ha chiuso la porta dietro di sé e mi ha fatto sedere. Si è acceso una sigaretta e dopo un paio di tiri ha iniziato a parlare:<br />
– Andrè, a me è dispiaciuto per quella storia del tuo amico, non credere. – Per un po’ ha tenuto lo sguardo fisso sul posacenere.<br />
– Ti ho chiesto di venire qua adesso perché comunque penso che tu sei uno bravo. E allora ho convinto il capo a farti fare un contratto. Una cosa seria così puoi finirla con la storia dei documenti.<br />
Dalla finestra si vedeva una striscia di cielo azzurro affacciarsi tra un palazzo e l’altro. Salutava me.</span></div>pierhttp://www.blogger.com/profile/16437241680958732927noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-34052494587620907922011-06-27T10:07:00.006+02:002012-04-02T18:03:31.903+02:00L'uovo - di Davide Bartolomeo Salvemini<div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Ore 3:00 </b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Laboratorio n. 21</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Stadio n. 1</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"> </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">L’uovo si sta schiudendo. Il taglio si allarga come una bocca durante lo sbadiglio. Liquido rosso cola dalle sue labbra. Sgocciola. Il pavimento si colora. Le urla fanno a pugni con la stanza che le contiene.<br />
Non piangere. Rilassati.<br />
Lo squarcio si riempe. La creatura esce. Le ombre bianche lo tirano con forza verso la vita.<br />
Fa caldo nel laboratorio.</span></div><a name='more'></a><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
La creatura è fuori. Urla la sua disperazione. Ruba il suo primo pugno d’ossigeno. Brucia la gola. Innaffia d’acido i polmoni.<br />
Il dolore lo risveglia.<br />
Morde il braccio che lo sostiene. Cade. La sua liscia pelle si colora di rosso. Si alza. Quattro piccole zampe lo sostengono. Cammina. Il suo passo: affaticato, irregolare. Due piccoli occhietti indagano la stanza. Piange. Le lacrime colano sul volto, disegnando sulle guance lunghi e torrenziali fiumi.<br />
Le ombre bianche lo riprendono. Lo catturano. Lo portano all’uovo che lo stringe a se. È a casa. Niente può colpirlo. L’armatura lo difende dalla vita.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"> <br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Ore 6:00</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Laboratorio n. 21</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Stadio n. 2</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">La temperatura della stanza è aumentata. Gocce di sudore scivolano sull’uovo.<br />
La creatura è seduta in un angolo. Gli arti sono diventati lunghi, grossi. Una piccola inutile coda deforme spunta sotto il ventre. Non si muove.<br />
La testa è invasa da lunghi peli neri che gli coprono il volto.<br />
Ha smesso di piangere. Parla poco. Mugugna.<br />
Guarda. Scruta. Il suo sguardo raschia l’aria. Vuole lasciare la stanza. Liberarsi dalle catene che lo inchiodano alla parete.<br />
Urla. Ha fame.<br />
La porta del laboratorio si apre. Una luce bianca si schianta sulla creatura che si piega su se stessa contorcendosi.<br />
Le ombre bianche entrano. Le mani plastificate impugnano cibi strani. Tondi. Arancioni. Gialli. Verdi.<br />
L’essere annusa l’aria. Si agita. Si alza. Due grosse zampe sostengono il suo corpo. Le altre due si lanciano verso i visitatori. Le catene si spezzano. Le ombre bianche si agitano per terra.<br />
L’alieno scappa. Il fascio di luce nel laboratorio proietta la sua ombra. <br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"> </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Ore 9:00</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Laboratorio n. 21</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Stadio n. 3</b></span><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Il termostato si è rotto. Sussurra la sua malattia nelle caldaie. Inizia a far freddo.<br />
L’uovo si è frantumato, è diventato polvere sulla scopa.<br />
L’alieno è nella stanza. Le ombre bianche l’hanno catturato di nuovo.<br />
È una bestia. Ha ucciso una guardia, l’ha uccisa a morsi. Ora è sedato. Dorme.<br />
Qualcosa in lui è cambiato. Ha subito una nuova trasformazione. La pelle si è spenta, sembra colorata con la cenere. Solchi profondi percorrono il suo corpo rinsecchito. Segni scavati nel legno.<br />
Gli occhi sono stanchi, senza forza. Il suo sguardo percorre gli angoli della stanza cercando svogliatamente una nuova via di fuga.<br />
Un osso bianco e nodoso lungo quanto la sua gamba gli spunta dalla mano. Si appoggia ad esso, incurvato per la schiena schiacciata dalla gravità.<br />
Tossisce. Spruzzi di liquido rosso per terra. Si copre la bocca con le mani. Tremano.<br />
Si stende per terra, sotto al lettino. Chiude gli occhi. Bisbiglia parole incomprensibili. Non si muove.</span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"> </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"> </span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Ore 12:00</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Laboratorio n. 21</b></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Stadio n. 4</b></span><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Si gela. Il termostato ha smesso di funzionare. Dalle prese d’aria del laboratorio piangono piccole stalattiti.<br />
L’alieno è morto. Il suo petto non si muove più. Un liquido denso e bianco gli cola dalla bocca creando una lenta cascata che si frantuma sul pavimento. Le sue pupille sono sparite: guardano dentro, dentro la sua testa. La sua pelle sembra quella di un pollo appena cotto, si sfoglia al solo tocco. Sta cambiando colore: il grigio si trucca di viola.<br />
Le ombre bianche entrano nel laboratorio. Stringono per le braccia e per le gambe la creatura. La tirano su come fosse un sacco di patate. La portano nell’inceneritore che si riempe del suo flaccido corpo. L’immondizia è trattata con più cortesia.<br />
La finestrella della macchina si chiude. La temperatura si alza. Fiamme. Incandescenti. Mordono come belve la carne. Friggono i tendini, sciolgono gli occhi ciechi. L’alieno sparisce. Diventa polvere. Come il suo uovo.</span></div>pierhttp://www.blogger.com/profile/16437241680958732927noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-84491515995787124892011-06-16T10:08:00.002+02:002012-04-02T18:04:10.183+02:00Summer Evening<div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Giulia Lecce<br />
premio LE STAGIONI/Si prega di scrivere<br />
Terza classificata</i></span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">«Chissà chi è l’autore di quel quadro?». In un tipico porticato americano un ragazzo e una ragazza parlavano. Era buio. «Sarà estate» pensò «lei è abbastanza succinta». In quel momento si ricordò di essere mezza nuda anche lei, frugò fra le lenzuola e non avendo successo nell’impresa cercò sotto il letto, stando ben attenta a non far troppo rumore. Lungi da lei anche il minimo desiderio di svegliarlo. Era l’autunno a farle quest’effetto. </span></div><a name='more'></a><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Le piogge di settembre le sembravano ordinate e puntuali fino alla nausea. Come fossero andate in villeggiatura anche loro e orgogliose della loro puntualità dicessero «si ricomincia». Era un’attesa stanca. Come fosse convalescente da una malattia, quel giorno in più che, da ragazza, non andava a scuola anche se stava bene. Così la notte scorsa era uscita di casa sua ed era finita lì, per negare che avesse bisogno di guarire. Stava bene, andava tutto bene, sarebbe andato tutto bene. Lo pensava anche mentre prendeva le calze e le infilava appallottolate nella borsa. Ricordò di averla letta in un libro, una volta, una scena del genere, non ricordava però se anche la donna dalle calze nella borsa si sentisse tanto vicina alla vuotezza assoluta.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">«Chissà se è davvero mai stato a una mostra di Hopper o se l’ha trovato nell’arredo della casa?» pensò guardando un quadro. Lo aveva già visto, appeso in una stanza d’albergo. E anche quella volta non riusciva a scovare la sua biancheria e se ne infischiava di far più o meno rumore. Si conoscevano da anni e se qualche volta si era fermata a far colazione era stato davvero solo perché aveva fame. Era l’inverno a farle quest’effetto. Gennaio la faceva pensare al lunedì, assennato, impegnativo. Il momento di sentire la responsabilità di riassettare le cose. Il freddo pulito, secco, senza sfumature di un inverno nel suo pieno rigoglio, giornate brevi e noiose che hanno appena spazio per l’essenziale. Non devi ricominciare tutto da capo, devi solo riprendere diligentemente le fila di ciò che avevi lasciato. È rassicurante e triste, la tristezza tranquilla che vuol dire «riposati adesso, non devi inventarti niente, va avanti, ci penserai poi». Si vestì alla rinfusa. Appallottolò le calze nella borsa e ripensò a quel libro dove aveva letto la stessa scena, era un bellissimo libro e la ragazza un’intelligentissima sgualdrina.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">«Che splendido quadro!» pensò. «Si riesce a sentire il calore di quella notte e il bisbiglio dei due ragazzi». Si ricordò di essere però più pudica di giorno di quanto non lo fosse la notte. Vagò fra le lenzuola in cerca della sua biancheria, ma con la scusa di frugare accarezzò l’uomo al suo fianco, dal polpaccio su per la coscia, passando dai fianchi fino alla schiena, dove appoggiò un bacio leggero e inavvertibile che fece mugugnare il bel addormentato. Una scossa elettrica le attraversava lo stomaco. Conati incoercibili di straripante euforia. Era la primavera a farle quest’effetto. Aspettare quel sole, quel torpore, quell’atmosfera di intermezzo gioviale, eccitato, speranzoso. Aprile è come l’inizio del week-end, quando sei ancora stanca della tua settimana ma sai che poi ti riposerai, che forse ti divertirai, e chissà se potresti essere anche solo un momento felice. Le giornate sono più lunghe e tu hai più scelte e opportunità. È sempre una questione di opportunità, e la primavera ne incarna una. Frugando trovò le sue calze, pensò alla scena di quel libro dove quella tizia le appallottolava e le metteva nella sua borsa. Era un bel libro. Buttò sul pavimento le sue calze e nuda si rimise a sonnecchiare.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">«Doveva esserci lo stesso cazzo di caldo quella notte, eh, Hopper!» pensò guardando il quadro alla parete di fianco alla finestra aperta che lasciava circolare aria calda e la luce che l’aveva svegliata. Aveva sete e anche voglia di vomitare; doveva vestirsi: andare nuda a casa di quel tale era una circostanza che le avrebbe acuito la nausea. Mentre si riempiva un bicchiere d’acqua calda dal rubinetto in cucina, pensava che non c’era da fidarsi molto di uno che a luglio non tiene una minerale in frigo. «Devo darci un taglio». Era l’estate a farle quest’effetto. Non è tanto la luce abbagliante né quel sole che di giorno ti prende a cazzotti i sensi, e il calore che continuano a emanare le cose la notte. I corpi scoperti, sudati, il ghiaccio che mordi mentre bevi un alpacino, la vodka che ti rapina di ogni inibizione. E se la mattina sei verde, l’abbronzatura ti salva dal fartelo leggere in faccia che verde lo sei anche dentro. Se lo sei. Neanche un paio di calze da appallottolare e mettere nella borsa prima di scappar via, come in quel libro. Sarebbe stata una scena degna di nota.</span></div>Anonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-38690611100210951552011-06-16T09:57:00.003+02:002012-04-02T18:04:36.302+02:00Quattro lezioni<style>
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<div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><i>Silvia Bernardi</i><i><br />
premio LE STAGIONI/Si prega di scrivere<br />
Seconda classificata</i></span></div><div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Autunno, lezione sulla caducità.</b></span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>L’uomo, anche nella società contemporanea distorta e caotica, non può negare che la sua intera esistenza è concatenata al ciclo delle stagioni.</i></span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">No, se inizio così, nessuno dei miei nuovi studenti capirà; per loro settembre è solo il mese in cui ci si infilano i piedi nei banchi di scuola lasciando la testa nella mitologia dei ricordi estivi.</span></div><a name='more'></a><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Domani sarò di nuovo un giovane supplente di scienze al liceo. Lezione in quinta, astronomia: partiamo dal ciclo delle stagioni, solstizi ed equinozi, afelio e perielio, insomma, qualcosa che è sotto gli occhi di tutti, compreso di chi non vuole vedere.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Domani mattina vorrei dire semplicemente questo: credetemi, là fuori c’è un ordine perfetto, fatto di cicli e di ritmi, e l’essere umano stesso deve sintonizzarsi a essi. Se volete provare a crederci, vi risulterà tutto molto più facile.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Per esempio, a settembre cadono le foglie. E se ci pensate un attimo, siamo molto più caduchi anche noi.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Inverno, lezione sul raccoglimento.</b></span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Anna M. distribuisce i compiti in classe corretti. Ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale, e la classe è oggettivamente disastrosa. Anna è bellissima, molti guardano lei prima di guardare il voto sul compito; meglio, si consolano un po’. Nevica, e con la neve ci consoliamo un po’ tutti. Ovatta e cura i sentimenti dolorosi, i sentimenti caldi, quelli che contrastano con il freddo che c’è fuori, la neve mette le pezze, copre i suoni e ci ricorda che abbiamo l’occasione di raccoglierci in un bozzolo, propone un piccolo e necessario letargo umano.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Quando suona la campanella Lucia G. scoppia in lacrime, le ho dato quattro. Anna M., con teatralità, la abbraccia e le dice dai, oggi pomeriggio ci facciamo la cioccolata calda e andiamo a fare un giro per i regali di Natale. Ma nevica, risponde l’altra. E vabbè, noi ci facciamo un giro lo stesso, così se prendiamo freddo poi la cioccolata è più buona.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Primavera, lezione sugli impulsi e i profumi.</b></span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Il planetario mette sempre i miei studenti di buon umore, è impossibile non rimanere affascinati dalle stelle. E poi è tutto molto romantico e teneramente adolescenziale, con il buio e un cielo perfetto sopra di loro. Per questo li porto in primavera, perché so bene che si sentono più ricettivi e quindi più distratti, non è tempo di tenerli chiusi in classe.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">La Via Lattea si vede meno, Cassiopea si vede meglio, l’Orsa Maggiore è capovolta rispetto all’inverno e io sono certo che Luca N. e Anna M. si stanno accarezzando le mani.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Non è tempo di reclusioni né di nostalgie, la primavera è la stagione del presente. Quella che tutti vogliono annusare, mangiare, spolpare, respirare, ci si vuole inebriare di lei non appena se ne sente un accenno anche minimo nell’aria. </span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Risatine e fischi. Luca N. e Anna M. si baciano. Non posso pretendere che rimangano impassibili davanti all’opportunità offerta dalle costellazioni di primavera di un cielo privato.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Estate, lezione sull’energia.</b></span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Cari studenti di 5B,<br />
di seguito trovate una serie di esercizi che possono aiutarvi a concentrarvi sull’esame di maturità. Se avete dubbi non esitate a contattarmi, perché significa che state ripassando davvero.<br />
È stato un piacere lavorare con voi in questi mesi, in bocca al lupo a tutti.</i></span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">L’estate sconquasserà i miei alunni non appena usciranno dalle porte di vetro della scuola con il loro voto di maturità tatuato addosso come se fosse la cosa più importante del mondo. </span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Negli anni capiranno che per fortuna non è proprio così. Il sapore che l’estate ha quando si va a scuola non tornerà più per il resto della vostra vita, ragazzi miei; le vacanze estive sono adesso la definizione di libertà, ma non sarà più così. Dovrete studiare o lavorare, ma bisogna sempre e comunque fare il pieno di luce ed energia estiva, perché settembre torna e tutte le foglie si staccano di nuovo dal ramo, comprese quelle più energiche. </span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Che sia per volare o per cadere, questo lo decidete voi.</span></div>Anonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-49046210342425104772011-06-16T09:54:00.004+02:002012-04-02T18:05:03.825+02:00Immagini dell’assenza<style>
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<div class="MsoNormal" style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif; text-align: left;"><span style="font-size: small;"><i>Maria Chiara Monaldi<br />
premio LE STAGIONI/Si prega di scrivere<br />
Prima classificata<br />
<br />
</i></span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Mia madre amava tre cose. Il suo orto, le papere e le galline.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Quando lavorava nell’orto con il rastrello arrugginito, curva come un arco, le galline le razzolavano tra le gambe. Ogni tanto, si alzava e si appoggiava al manico del rastrello, una mano sull’altra e la guancia sopra. </span></div><a name='more'></a><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">In un giorno di luglio sono andata da lei. Stava preparando il terreno per la semina. </span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Le galline si rincorrevano in cerchio. Quando mi hanno visto, si sono fermate, becchettando indifferenti.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">– Cosa fai qui? – ha chiesto mia madre.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">– Sono venuta a trovarti – ho risposto.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">– Ti serve qualcosa? – ha domandato brusca.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">– Volevo vederti, nient’altro – ho detto io.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Mi ha guardato perplessa. Si è piegata e ha sollevato una zolla di terra.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">– Dovresti andare dalla nonna, piuttosto. Mi ha chiesto di te.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Sembrava a disagio. Restava lontana. Non mi vedeva né voleva farlo.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Sono salita in macchina senza salutarla.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Le galline hanno ricominciato a razzolare tra le sue gambe come vispi gattini.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Della nonna Rosa ricordo tre cose. Il sorriso luminoso. La voce cristallina. Il profilo delicato sul corpo enorme. </span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Era così pesante da non potersi muovere. Viveva inglobata nella poltrona a fiori rosa e blu. </span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Si ammalò a ottobre. Sua figlia Maria, mia madre, iniziò ad andare da lei ogni giorno per farla camminare.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">La prendeva sottobraccio.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">La sollevava. </span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">La portava in corridoio, in salotto, in terrazzo, in cucina. Impiegavano un’ora. </span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Poi tornavano alla poltrona. </span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Rosa accelerava il passo. Si chinava in avanti e si lasciava cadere tra i fiori rosa e blu. </span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Nello sguardo aveva l’albero di cachi dell’orto. I pomi lisci tra i rami spogli sembravano tanti soli al tramonto. Maria le si accovacciava accanto e le raccontava i suoi ricordi. Caterina, la madre di Rosa, le guardava dall’ovale accanto al camino.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">La bisnonna Caterina era piccola e magra. Di lei conosco tre cose. La fotografia in cui sta affacciata alla finestra. Il quadro ricamato con le lettere dell’alfabeto. La storia del terremoto.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Caterina e sua figlia Rosa erano nel fondaco di casa. Cantavano per scaldarsi. Abitavano sulla sponda del fiume. Era umido e freddo, quel posto, d’inverno. Stavano pulendo le rape appena raccolte. </span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Caterina vide ondeggiare le trecce d’aglio appese alle travi. Sentì il pavimento sussultare. Lasciò cadere le rape e si mise a correre.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Corse e corse. Finché arrivò al fiume. </span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">La testa le girava. Per la corsa. Per il fiatone. Perché non aveva Rosa accanto.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Si voltò. La casa c’era ancora. Corse e corse. Entrò nel fondaco. </span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Rosa era più piccola di quanto ricordasse. Stava seduta in mezzo al mare di rape violette. Le nocche bianche tenevano ferma la sedia. Gli occhi scuri si erano svuotati.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br />
</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Sono tornata a casa di mia madre. Ci vengo di rado da quando lei non c’è più.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Ma è quasi Pasqua. Devo fare ordine. La polvere galleggia nella luce primaverile.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Apro un cassetto. È il cassetto delle fotografie. Da piccola, quelle immagini per me erano sfingi. Celavano un arcano. Le persone lì dentro non si sovrapponevano a quelle che conoscevo io. Le rughe non c’erano. I vestiti erano diversi. Le espressioni erano più serie.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Cerco di non fare rumore, aprendolo. Mi sembra di violare un santuario. </span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Invece non trovo sfingi e arcani. Trovo ragazze e spose, madri e figlie.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Prendo due foto.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">In una, la mia bisnonna Caterina tiene in braccio sua figlia Rosa in fasce. Ha una gonna scura e una camicetta bianca.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Nell’altra, mia madre tiene in braccio me neonata, mi guarda e sorride. Ha una gonna beige e una maglia a righe.</span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Chiudo il cassetto. </span></div><div style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;"><span style="font-size: small;">Il profumo di acacie entra dalla finestra aperta. Il cuore mi batte più forte.</span></div>Anonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-56153408762196891692011-06-16T09:46:00.002+02:002011-12-12T17:10:07.868+01:00Le Stagioni/Si prega di scrivere<style>
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<div></div><div style="text-align: left;">La multimedialità non è solo una conseguenza della tecnologia: è anche ibridazione di linguaggi, in cui il filo rosso è costituito dal messaggio, che corre come un racconto a staffetta sul filo dei diversi <i>media</i>. Oggi “transmediale” è un aggettivo di attualità nel mondo della narrativa italiana, specie dopo la pubblicazione di <i>New Italian Epic</i> da parte del collettivo Wu Ming, e il dibattito che ne è seguito. Ma “transmediale” è anche una qualità propria del DNA stesso del PAV, alla costante ricerca di terreni marginali, slabbri, processi in cui operare e allargare la sua azione ibridante. <a name='more'></a>Il concorso “Si prega di scrivere/Le stagioni”, citando un celebre invito del gruppo T, alla base del principio dell’arte relazionale di processo come parte dell’opera stessa, ha voluto mappare le diverse sensibilità del pubblico attorno a un tema tanto pesante quanto multiforme come le stagioni: in senso fisico e metafisico, in sintonia con l’Art Program 2011 del PAV stesso, sul mondo corporale.<br />
Siamo lieti di pubblicare i tre migliori risultati del concorso, proclamati il 27 maggio scorso nell’ambito della rassegna “Giorno per Giorno” e selezionati dalla giuria composta da Marco Lazzarotto ed Emiliano Poddi (entrambi docenti alla Scuola Holden di Torino, autori il primo di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Le mie cose</i>, Instar Libri 2008, il secondo di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Alborán</i>, Instar Libri 2010), Piernicola D’Ortona e Marco Magnone dello studio editoriale Pangramma di Torino e Stefania Crobe, operatrice culturale. La giuria si è concentrata sui racconti che hanno espresso meglio, nei limiti delle battute consentite del bando (in sintonia con una dimensione “microscopica” dell’elaborato richiesto), la propria personale declinazione del tema proposto. I tre racconti hanno il pregio di coniugare un’estrema asciuttezza espressiva con una forte coerenza interna di motivi e contenuti. La numerologia delle stagioni si riverbera nelle pennellate di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Immagini dell’assenza</i>, che tratteggiano con dettagli minimi e immagini molto familiari quattro generazioni di donne. In <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Quattro lezioni</i> la voce narrante segue le vicende di un intero anno scolastico, con toni delicati e discreti. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Summer Evening</i>, infine, prende spunto da un quadro di Edward Hopper attorno al quale si snodano quattro variazioni sulla stessa scena, modellata su quattro coordinate temporali diverse e su altrettante femminilità distinte.</div><div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt; text-align: left; text-indent: 14.2pt;"><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt;"> </span><a href="http://2.bp.blogspot.com/-bsmZ9ryG_gg/Tfm1f2SFOXI/AAAAAAAAAgg/VKflFVB_svY/s1600/Edunia_PAV_scontornata_b-n_low.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="270" src="http://2.bp.blogspot.com/-bsmZ9ryG_gg/Tfm1f2SFOXI/AAAAAAAAAgg/VKflFVB_svY/s320/Edunia_PAV_scontornata_b-n_low.jpg" width="320" /></a><br />
<span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt;"><br />
</span><span style="font-family: "Times New Roman"; font-size: 12pt;">di Piernicola D’Ortona e Marco Magnone</span></div>Anonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-16791210308458422182011-05-09T17:30:00.001+02:002013-08-05T17:48:41.033+02:00Dall'immanenza alla "fotografia transitiva"<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
L’atto del vedere e del conoscere non ha alcun effetto sulle cose appunto viste o conosciute - così i filosofi scolastici definivano aristotelicamente il concetto di ‘immanenza’ - come anche l’atto del fotografare non produce alcun effetto, tranne qualche eccezione, sulla realtà fotografata o «effettuale» (termine machiavellico prima che heideggeriano). Tale simmetria è superata nel momento in cui si trasla il ragionamento nell’ambito del lavoro del fotografo non-vedente Evgen Bavcar con le sue annesse dinamiche “produttive”.<br />
<a name='more'></a><br />“Chiudere” gli occhi permanentemente per un incidente irreversibile, come nel caso dell’artista in questione, spegne la pratica della “visione” diretta, spostandola quindi dall’ambito fenomenologico visivo a quello della memoria visiva, coadiuvata adesso dalle fenomenologie dirette dei sensi rimasti attivi. Il bagaglio di memoria farà da dispensa futura al suo «essere-nel-mondo», fornendo le coordinate spazio-temporali della “visione” o percezione, parallelamente all’attivazione di una serie di <i>feedback</i> sensoriali alle immagini primitive originarie conservate nella memoria, in un <i>loop</i> di scambio continuo di informazioni. Questo immaginario, caratterizzato da un flusso di energia da attualizzare, è “segnato“, visto il trauma sostenuto, da quello che le teorie dell‘evoluzionismo chiamano “engrammi“, vere e proprie cicatrici materiali che si formano nella memoria e che sarebbero continuamente risvegliate dalle nuove eccitazioni sensoriali. <br />
<br />
Guidato, quindi, dal pensiero illuminante innanzitutto, cioè dal concetto, che si è formato dalla memoria delle sensazioni come affermava Aristotele, e, dai quattro sensi attivi, dalla memoria del ‘visto‘, e non per ultimo dalla tecnologia (e non dalla tecnica) sempre più servoassistita nelle sue funzioni, il fotografo non-vedente Evgen Bavcar dà la propria posizione al mondo. Il suo «essere-nel-mondo (<i>in-der-Welt-sein</i>)» prende forma e si materializza attraverso delle “fotografie” realizzate facendo lavorare proprio quei sensi, quel pensiero - solitamente (quasi) mai usati dai fotografi “normali“ - quella memoria della luce e di conseguenza dall’informazione accumulata nella sua prima parte della vita, quando la vista fisiologica gli arricchiva il bagaglio della memoria. Supportato inoltre da una tecnologia (fotografica) che con il suo «srotolamento fenomenologico» esaudirebbe così le nuove richieste estetiche dell‘artista dapprima impossibili, come ha affermato più volte il filosofo Mario Costa. <br />
<br />
Il suo “predisporre” il reale, ai suoi scopi e quindi il suo approcciarsi carico di memoria da rinsaldare con la realtà «effettuale» percepita adesso dagli altri sensi, lascia appunto il “segno” sulla realtà stessa, veicolato e visibile adesso attraverso il <i>media</i> della fotografia. <br />
Questa dinamica “accende” ciò che era reale immanente, <i>immanens</i>, trasformandolo in reale transitivo,<i> transiens</i>, producendo così - ma non può fare altrimenti, Bavcar è un “condannato” alla creazione (!) - una nuova realtà modificata da una sua idea, dimostrando forza e volontà tenaci.<br />
In virtù di questi fattori, che contraddistinguono per Bavcar la dinamica del passaggio dal “dentro” al “fuori” (buio-luce), scatta inevitabile la relazione con il cosiddetto mito della caverna platonica, già citato dallo stesso artista. La fase “interna” (il buio) è rappresentata dalla memoria accumulata e in rielaborazione concettuale; mentre la fase “esterna” (la luce) è “visualizzata” dalla realtà modificata e mediata dalla tecnologia servoassistita, cioè la macchina! Per cui la tecnologia (e non la tecnica, come ho sottolineato prima) rappresenterebbe l’uscita dalla caverna dopo aver “covato” idee e pensieri, “parlando“ per l‘artista stesso. <br />
Spingendomi ancora oltre, questa deduzione è allargabile oggi nell’epoca delle neo-tecnologie a tutti noi indistintamente, a prescindere da eventuali <i>deficit</i>; la tecnologia e adesso le neo-tecnologie rappresentano l’uscita definitiva e irreversibile per l’uomo dalla caverna del passato sostituendosi a noi.<br />
<br />
Proprio il passaggio di carattere da <i>immanens</i> a <i>transiens</i> della realtà intorno all’autore, e a mano dello stesso autore, trasforma la fotografia generica, quella della realtà, in una ‘fotografia transitiva‘, ricca di elementi modificati e sottoposti a condizioni formali «a priori» verso un trascendentalismo dell’esperienza di stampo kantiano. Per cui queste “visioni” o squarci di reale “transitivo” aperti nel buio della notte, o trapassati dall’interno all’esterno della caverna, sono essenzialmente delle conquiste faticosissime che vanno oltre la fotografia di per sé; e denominarle tali è uno sminuire il lavoro ridotto a una pedestre riproduzione fenomenica della realtà, sebbene rappresentino, quasi, un «fatto» wittgeinsteniano; tanto da poterle considerare delle ‘non-fotografie’ o meglio degli “fotoengrammi” (a proposito degli engrammi conservati nella memoria).<br />
<br />
Tuttavia il suo ambito rimane quello sempre della “fotografia” grazie a cui Bavcar riconquista, per rimanerci, il suo «essere-nel-mondo» con un processo di conoscenza prima e di modifica poi del “reale” nella sua completezza, preservando così la sua memoria immagazzinata dall‘oblio inesorabile e portandola a “lavorare“, a produrre “enti“: la realtà la determina, la isola, la struttura e la “raggiunge“. Un raggiungimento liberatorio e ancestrale con le vecchie immagini conservate in memoria (il “grembo materno”?) e simultaneamente <i>flash</i> di memoria visiva per il nostro futuro.<br />
<br />
Bavcar si attiva per riappropriarsi di un territorio che prima era anonimo, e le sue azioni concorrono a trasformarlo in “vero“, in porzione di spazio attiva e non passiva o spenta. È la pulsione della vita che ci porta a conquistare nuovi territori, e la sua è un’azione che insegna a noi tutti, vedenti, a fare analogamente altrettanto, a forzare il territorio della non-conoscenza affinchè diventi conoscenza e vivere civile, e quindi sostanzialmente «essere-nel-mondo» e non dissolutamente <i>en passant</i>.<br />
<br />
L’autore dimostra un rapporto d’amore con il reale dove lo spazio che lo contiene è costituito da elementi puri e distillati dopo la sua modifica, delimitati sempre e indissolubilmente da un pensiero deciso e forte (altro che ‘pensiero debole‘ …), e dal bagaglio della memoria che detta le coordinate: e per risultante quasi una seconda creazione, un nuovo mondo, il quale non è solo il suo, goduto e “sentito” probabilmente quasi alla pari di quello visivo, ma adesso è anche nostro, di tutti; un reale di nuova “genìa” si presenta a noi finalmente per il futuro di tutti, “costruito” dalle mani, dai sensi, dal “tecnologico” e dal pensiero rammemorante, (l’<i>andenken</i>?).<br />
<br />
<br />
<div style="text-align: right;">
© Copyright Angelo Candiano, Torino, per gentile concessione, aprile 2011</div>
<br />
<br />
<br />
<br />
Angelo Candiano, artista fotografo, si occupa principalmente di teoria e ricerca lavorando dal 1984 al suo ‘sistema della fotosofia’. Oltre ad una attenta attività espositiva propria, ha curato mostre e pubblicato saggi, tenuto seminari sul rapporto arte-fotografia e sul proprio lavoro in accademie e università. <br />
Attualmente è docente IED di Storia e semiologia della fotografia a Torino.Anonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7957919493170663273.post-34041951351395115002011-05-09T17:20:00.001+02:002011-12-12T17:11:02.676+01:00Delle immagini rivelate<div style="text-align: right;"><i>Noi sappiamo che sotto l’immagine rivelata ce n’è un’altra più fedele alla realtà, e sotto quest’altra un’altra ancora, e di nuovo un’altra sotto quest’ultima, fino alla vera immagine di quella realtà, assoluta, misteriosa che nessuno vedrà mai, o forse fino alla scomposizione di qualsiasi immagine, di qualsiasi realtà<br />
[Michelangelo Antonioni, Blow-up, 1966]</i></div><br />
<br />
Si può ancora parlare di “esperienza estetica”, intesa come esperienza percettiva nel senso più empirico del termine, quando si è sempre più orientati verso una estetizzazione’ anestetizzante della conoscenza? Si può ricondurre l’esperienza estetica nell’alveo di una dimensione “percettiva” e “sensibile”?<br />
<a name='more'></a><br />
Per la filosofia antica la percezione sensoriale rivestiva la modalità primitiva di decifrazione della realtà esterna e della sua conoscenza. La storia e la cultura occidentale hanno eletto, nella gerarchia sensoriale, il paradigma ottico come dominate relegando gli altri sensi a subordinati dell’esperienza visiva. <br />
Cartesio, ad esempio, incarna in modo esemplare questo oculocentrismo asserendo la totale autonomia ed indipendenza della vista dagli altri sensi.<br />
Tuttavia una domanda ricorrente, nel corso della storia filosofica, mette in discussione questo primato e questa autarchia della visione nel tentativo di comprendere come l’esperienza estetica possa essere individuata come esperienza del tatto.<br />
Diderot, nella <i>Lettre sur les aveugles à l’usage de ceux qui voient </i>(1749), si chiede in cosa consista l’universo d’esperienza del cieco: il cieco “vede”? Quando c’è assenza di vista, in che modo il soggetto si inserisce nella realtà?<br />
Si fa strada una tradizione filosofica alternativa che asserisce il primato ontologico della percezione e che, destituita l’otticità, valorizzerà e rivaluterà - detronizzando l’occhio - i sensi cosiddetti intimi: gusto,olfatto, e soprattutto il tatto, nel loro agire e sentire individuale e nel loro rapporto sinestetico.<br />
È attraverso la sfera tattile che noi acquistiamo la conoscenza più intima delle cose. Una coscienza “che tocca” - osservava Herman Parret - è una coscienza molto più ricca e penetrante rispetto a una coscienza “che vede”.<br />
Il soggetto, coinvolto in un’esperienza aptica, partecipa in modo più intenso alla scoperta del mondo. Implicando le sensazioni del corpo ne esperisce la forma, la solidità, la consistenza, la fluidità, la levigatezza, la ruvidità. È attraverso l’esperienza tattile che la realtà si rivela in tutta la sua misteriosa profondità. Il toccare penetra le superfici, tendendo alla massima fusione con esse, e ci fa “sentire” avvicinandoci più profondamente alla verità stessa.<br />
Il tatto ha il privilegio, unico tra i cinque sensi, di rinviare sempre e direttamente al corpo proprio. Un corpo che, secondo la filosofia di Husserl, si costituisce in quanto tale solo nel tatto. La conclusione è sorprendente: senza tatto, non c’è corpo proprio.<br />
<br />
E in una fenomenologia dei sensi si inscrive l’opera di <b>Evgen Bavcar</b> (Slovenia, 1946, vive a Parigi) e la mostra personale <b>Il corpo che guarda</b> che il PAV gli dedica dal 29 aprile al 29 maggio 2011. <br />
Bavcar è fotografo, filosofo, scrittore e artista, ma è soprattutto un <i>visionnaire</i>.<br />
Privato della vista all’età di dodici anni a causa di due successivi incidenti, attraverso l’uso della macchina fotografica - per eccellenza strumento per la riproduzione del reale - Bavcar si riappropria di quanto gli è stato negato e attraverso quello che lui stesso definisce il terzo occhio - l’occhio interiore, lo spirito - ci dona se stesso e la sua personale e più che intima visione della realtà, intrisa di nostalgica memoria. Le fotografie di Bavcar sono prima di tutto immagini mentali, nascono dall’intelletto e poi prendono forma. I soggetti raffigurati da Evgen Bavcar sono nudi, paesaggi e bambini sempre immersi nell’oscurità, luogo dove lui vede.<br />
Bavcar è solito fotografare nel buio, prende la macchina fotografica, la mano tocca e l’occhio accarezza, le mani vedono e il corpo guarda: da quella posizione allontana la fotocamera e scatta.<br />
Lo sguardo dell’altro che solitamente provoca imbarazzo, nervosismo, irritazione in quanto soggettivizza, nel buio delle tenebre di Bavcar rende invece liberi di esprimere la soggettività più intima e profonda. Bavcar è lo spettatore ideale, quello che non esiste.<br />
Ecco allora che i soggetti di Evgen Bavcar prendono vita e carichi di tensione sembrano quasi aspirare a un’eternità dove il non visibile, l’essenziale invisibile agli occhi, si rivela.<br />
Quello di Bavcar - come nel mito di Pigmalione - è un toccare che anima e vivifica, al vertice della scala della sensorialità.<br />
<br />
Ma Bavcar è anche e soprattutto un militante per i diritti dei non vedenti e ipo-vedenti in termini di accessibilità negli spazi pubblici, impegnato a combattere un sistema “oculocentrico” e l’assoluta priorità che la nostra società - la società dell’immagine - attribuisce all’iconografia. Tematiche, queste, care al PAV, da sempre impegnato ad ampliare l’accessibilità alla comunicazione, alla conoscenza, all’arte e che, in occasione della mostra di Evgen Bavcar, presenta<b> IN/OUT/AROUND</b>, progetto ideato dalle Attività educative e formative del PAV, in collaborazione con la Divisione Servizi Socio Assistenziali e Rapporti con le aziende Sanitarie della Città di Torino, l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, l’Accademia Albertina di Belle Arti e Tactile Vision, Torino, che vede una serie di appuntamenti rivolti ad insegnanti, educatori, operatori e studenti sul tema dell’accessibilità, della percezione, delle strategie espressive che si possono attuare con tutti i pubblici e un programma di educazione all’arte per le scuole e i gruppi dei centri socio-educativi della Città. Ma IN/OUT/AROUND è anche la conferenza di Evgen Bavcar , <i>Il corpo, la totalità aperta</i> ed il workshop tenuto dall’artista <i>Il mio specchio: percezione non normativa</i>. <br />
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Stefania CrobeAnonymousnoreply@blogger.com0